Verso il voto anticipato

di Fausto Carioti

Gianfranco Fini non lascia il PdL né la presidenza della Camera, e la sua pattuglia di fedelissimi ieri non ha voluto mettere ai voti un proprio documento. Può sembrare un gesto distensivo, in realtà è una dichiarazione di ostilità: i finiani rinunciano alla guerra aperta, ma solo perché si stanno preparando alla guerriglia. Il rischio della “vietnamizzazione” delle votazioni parlamentari, grande timore di Silvio Berlusconi, adesso è molto più concreto. I problemi della vigilia restano tutti insoluti: per il PdL, e quindi per la maggioranza e di conseguenza per il governo. E le tensioni sono diventate ancora più aspre dopo il durissimo faccia a faccia pubblico tra i due co-fondatori, dove è apparso evidente che Berlusconi, se avesse potuto, avrebbe cacciato via Fini, e non l’ha fatto solo per non consegnare a quest’ultimo l’aureola del martire. La rappacificazione sembra impossibile, se è vero che persino Gianni Letta ha smesso di crederci. Lecito ipotizzare il peggio: l’uscita dei finiani dal PdL e la fine anticipata della legislatura sono l’epilogo più probabile della vicenda, e Berlusconi lo sa benissimo.

La buona notizia, per il Cavaliere, è che, alla prova dei fatti, i finiani si sono rivelati ancora meno del previsto: il documento di «gratitudine» a Berlusconi e di critica alle «ambizioni personali e le correnti», insomma l’aperta condanna a quanto combinato nelle ultime settimane da Fini e i suoi, ha ottenuto un plebiscito di consensi e appena 12 voti contrari su un totale di 172 membri della direzione. Con Fini, quindi, si è schierato il 7 per cento degli aventi diritto: una miseria. Ancora ieri mattina il presidente della Camera era accreditato di 18-20 voti. Tanto che il suo fedelissimo Fabio Granata ha dovuto giustificare il desolante risultato con il fatto che diversi finiani «hanno visto come è andata la direzione e dunque si sono allontanati». La verità è che, se c’era un’occasione in cui dovevano farsi trovare pronti al voto, era proprio quella di ieri. Le assenze, insomma, autorizzano Fini a temere che i suoi ranghi si siano ulteriormente assottigliati.

Una vittoria morale per il presidente del Consiglio, alla quale però dovranno seguire vittorie politiche nelle aule parlamentari, dove il gioco sarà molto più complicato. E di certo non aiuta il fatto che Fini presieda il ramo del Parlamento notoriamente più ostico per l’esecutivo. Alla Camera, infatti, tra deputati in missione, altri che hanno impegni di governo e i soliti assenti più o meno giustificati, la maggioranza spesso la sfanga per pochi voti, e ormai non si contano più le occasioni in cui l’opposizione è riuscita ad avere la meglio (l’ultima appena due giorni fa, in commissione Lavoro, su un emendamento del governo sui lavoratori esposti all’amianto).

Così da oggi, tra Montecitorio e palazzo Madama, i parlamentari rimasti fedeli all’ex leader di An avranno molte occasioni per giocare ai vietcong. In Senato sta per arrivare il disegno di legge sulle intercettazioni. Poi sarà il turno di immigrazione, federalismo, norme della giustizia e riforme istituzionali. Anche se i parlamentari “a disposizione” di Fini dovessero rivelarsi meno dei 52 messi in conto (ed è scontato che dentro al PdL adesso inizia il mercato delle vacche...), i rischi per la maggioranza e il governo sono alti.

Che la tensione sia elevatissima lo conferma la preparazione, da parte del gruppo del PdL alla Camera, di una mozione di sfiducia nei confronti di Italo Bocchino, vicepresidente dei deputati pidiellini e uomo di punta dello schieramento finiano. Si prende di mira Bocchino per colpire Fini, il quale non può essere rimosso dalla guida di Montecitorio. Una bomba che sarà sganciata in segno di rappresaglia appena i finiani avranno condotto a termine il loro primo attacco alla maggioranza. A questo punto fermare l’escalation sarà impossibile, e se Berlusconi nel frattempo non sarà riuscito a svuotare i ranghi finiani la sorte della legislatura sarà segnata.

I tempi potrebbero essere brevi: ieri, uscendo dall’auditorium di Santa Cecilia al termine della direzione del PdL, Fini si è rivolto minaccioso a Sandro Bondi: «Presto vedrete scintille in Parlamento», gli ha detto. «Ne risponderai agli elettori», è stata la risposta del ministro. Il conto alla rovescia è iniziato, prepariamoci al peggio.

© Libero. Pubblicato il 23 aprile 2010.

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