Quel conticino che nessuno ha voglia di fare

di Fausto Carioti

C’è una gara a dipingere un PdL a un passo dal baratro e un Silvio Berlusconi agli sgoccioli (auguri a chi ci spera davvero). Nessuno, però, sembra voler perdere tempo con un conticino banale banale. Nemmeno Pier Luigi Bersani, che vanta competenze economiche - e quindi si spera anche aritmetiche - sembra essersene accorto, dal momento che ha fatto sapere che si riterrà soddisfatto se, delle tredici regioni in palio domenica e lunedì, al centrodestra ne dovessero andare “solo” sei. Il conticino è questo: a Berlusconi basterà vincere in cinque regioni per poter dire che la maggior parte delle regioni italiane sono controllate dalla sua coalizione. E se davvero il centrodestra dovesse ottenere sei governatori, malgrado l’entusiasmo di Bersani, il raggio d’azione amministrativo del Partito democratico avrebbe raggiunto il suo minimo storico. Insomma, il rischio che lunedì sera finisca un’epoca è molto concreto, ma l’epoca che potrebbe chiudersi è quella dello strapotere territoriale degli eredi del Pci, con il sorpasso di Berlusconi ai danni degli avversari di sempre.

Anche perché quello delle cinque regioni è un obiettivo alla portata del Cavaliere. A questo punto bisognerebbe spiegare bene quali sono le distanze tra i candidati nelle regioni in bilico, dove queste distanze si stanno riducendo o ampliando e a favore di chi. Però non si può fare. Perché la legge sulla par condicio voluta nel 2000 dal centrosinistra (cioè dagli stessi che in questi giorni si atteggiano a paladini della libertà d’informazione repressa dal governo) vieta di dare agli elettori simili informazioni, proibendo la diffusione dei risultati dei sondaggi nelle ultime due settimane prima del voto. Diciamo allora che la coalizione PdL-Lega ha buoni motivi per sentirsi la vittoria in tasca in Lombardia e Veneto, ovvero le uniche due regioni in palio dove il centrodestra già governa. Aggiungiamo che il PdL vanta ottime chances di vincere in Campania e in Calabria. E siamo a quattro. La quinta vittoria, secondo le aspettative degli uomini del Cavaliere, dovrebbe arrivare dal Piemonte o - nonostante tutto - dal tribolatissimo Lazio.

Mettiamola in questo modo: l’aria che tira in tutta Italia dopo la chiamata alle armi da parte del premier, e Piemonte e Lazio non fanno eccezione, autorizza il centrodestra a sognare almeno un 5-8 per il centrosinistra. Per questo sul Predellino, il giornale online degli ultrà berlusconiani, il deputato azzurro Giorgio Stracquadanio - uno dei pochi che si è fatto i conti, e che ovviamente è al corrente dei sondaggi che girano a palazzo Grazioli - ipotizza che tra una settimana, tirando le somme a livello nazionale, «le bandierine issate sulle regioni vedranno il centrodestra in vantaggio».

Popolo della Libertà e alleati, al momento, sono al governo in Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Abruzzo, Molise, Sicilia e Sardegna. E domenica si vota solo nelle prime due regioni. Basterebbe non perderle (e non sarà difficile) e aggiungerne altre tre (ed è chiaro su quali si punta) e il centrodestra uscirebbe dalla tornatona elettorale con la bellezza di dieci regioni sotto il suo controllo. Mentre il centrosinistra, a questo punto, conterebbe solo su nove regioni (la ventesima, la Val d’Aosta, è fuori dal confronto, essendo da sempre amministrata dalle forze autonomiste).

Vero: non sarebbe la prima volta. Accadde per due anni, grazie alle elezioni del 2001 in Molise e Sicilia, dove il centrodestra vinse portando il conto nazionale sull’11 a 8 per le bandierine azzurre. Ma quelle del 2001 furono davvero elezioni locali. Stavolta, invece, gli italiani sono davanti a una mega-tornata elettorale di tredici regioni, dal fortissimo sapore politico, che Berlusconi ha voluto trasformare - riuscendoci - nell’ennesimo referendum su se stesso.

L’ultima volta che ci fu un voto per le regionali con un significato nazionale di portata simile fu nel 2005, e anche allora Berlusconi era a palazzo Chigi. Al termine di quella tornata elettorale, il centrosinistra aveva in mano la bellezza di quindici regioni, mentre Berlusconi e i suoi alleati ne governavano appena quattro. Solo cinque anni dopo l’odiato Caimano, davanti a un identico appuntamento, è a un passo dal piantare i denti nella maggior parte delle regioni italiane. E anche se non raggiungesse questo risultato epocale, con ogni probabilità il suo partito sarebbe comunque alla guida in almeno nove di esse. A sinistra bisogna essere davvero molto ottimisti per crederlo moribondo.

© Libero. Pubblicato il 23 marzo 2010.

Post scriptum. Come noto, il sito di riferimento per le corse clandestine dei cavalli è Nota Politica.

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