Intervista a Frattini: "La Costituzione cambiamola tutta"

di Fausto Carioti

Altro che ritocchi. Franco Frattini, ministro degli Esteri, vuole quella che lui stesso chiama «la seconda Costituzione». Mediante un processo condiviso con il Pd, che cambi anche la prima parte della Carta. Inclusi gli articoli sulla libertà di religione, scritti in un’epoca in cui l’immigrazione di massa e il multiculturalismo non si sapeva cosa fossero. «Non limitiamoci», dice Frattini a Libero. «I principi che debbono essere rivisti e rafforzati sono tanti. Non dobbiamo avere la timidezza di dire: possiamo arrivare fino a qui, ma non oltre. Altrimenti cadiamo nell’errore storico della sinistra: appena si parla di riformare la Costituzione la sinistra, o meglio una parte di essa, risponde che “la costituzione è sacra, riformarla equivale a rinnegarla”».

E invece?
«La Costituzione è stata senza dubbio un pilastro della libertà. Ma è nata in un momento nel quale il Paese era diviso. Il mondo era diviso. Oggi il mondo non è più diviso. E, dopo la caduta del muro di Berlino, anche il nostro Paese si sta ritrovando intorno ad alcuni principi. Per cui dire che l’anno 2010 può essere l’anno della seconda Costituzione, cioè di una costituzione profondamente riformata, non sottoposta solo a piccoli ritocchi, non vuole dire affatto rinnegarla».

Quali sono gli interventi più importanti?
«Innanzitutto è curioso che oggi il capo del governo non possa revocare i ministri e abbia, in sostanza, il ruolo di “primus inter pares”, e non quello di vero capo dell’esecutivo. Poi c’è la gamba del federalismo: non possiamo limitarci al federalismo fiscale, dobbiamo fare un federalismo istituzionale molto più profondo. E ancora: tutti siamo d’accordo, a parole, nel ridurre il numero dei parlamentari. Però ci sono forti resistenze persino a ridurre il numero dei consiglieri delle comunità montane. Questi sono capitoli di una riforma costituzionale che non può riguardare solo una parte della Carta».

Volete una repubblica presidenziale?
«Noi siamo presidenzialisti. Io sono fortemente presidenzialista e di sicuro il dna del Popolo della libertà, come quello di Forza Italia e di An, dice che uno Stato deve avere due gambe: una centrale, che è il governo, e una federale, rappresentata dal federalismo delle regioni. Perché queste due gambe siano equilibrate, al federalismo deve corrispondere un presidenzialismo vero. Chi guida il governo deve essere scelto dai cittadini. Di fatto, questo avviene già oggi: noi vogliamo che questo principio sia costituzionalizzato. E vogliamo che chi governa il Paese, sia esso il primo ministro o un presidente della repubblica con poteri “alla francese”, disponga del mandato dei ministri».

Manca la giustizia.
«Serve assolutamente un riequilibrio tra il potere politico e quello giudiziario. Iniziando col dare attuazione al principio della responsabilità civile dei magistrati. Con un referendum gli italiani dissero che il magistrato che sbaglia deve pagare, come ogni altro pubblico dipendente. Ma poi questo principio è rimasto lettera morta. Io, invece, se sbaglio la mia azione politica e non porto risultati al mio Paese, sarò giudicato dagli elettori».

Molti chiedono di ripristinare l’immunità parlamentare, così come prevista nel testo originario della Costituzione.
«Credo che i cittadini non lo accetterebbero. Da parlamentare, nonché magistrato in aspettativa, nemmeno io capisco l’idea che il politico debba essere immune dalla giustizia. Però l’eccesso opposto, ovvero far decidere chi candidare da un avviso di garanzia o da un ordine di cattura del magistrato, come spesso avviene adesso, mi sembra oltremodo sbagliato».

La soluzione?
«Introdurre il cosiddetto lodo Alfano in una norma costituzionale mi pare il compromesso più giusto. In questo modo non si esclude il potere del magistrato di indagare su un ministro, sul capo del governo o sul presidente di un ramo del Parlamento. Però, nel momento in cui questa persona ha la fiducia degli eletti dal popolo, il giudizio viene sospeso».

Quando chiede una «profonda revisione» della Carta pensa anche alla prima parte?
«Ma certo, perché no. Non penso all’articolo in cui si stabilisce che l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro. Ma ci sono libertà fondamentali che si sono affermate negli anni e che nel 1946, quando sostanzialmente la Costituzione fu concepita, non erano avvertite».

Ad esempio?
«Il diritto alla sicurezza, che a causa del terrorismo noi sentiamo molto più profondamente di quanto lo potessero sentire i nostri nonni. Altro esempio: nel 1946 fu scritto l’articolo 9, dove si stabiliva che la tutela del paesaggio è un diritto costituzionale. Ma quella era una tutela statica, adatta a un mondo che non sapeva che potesse esserci un dibattito come quello del vertice di Copenhagen. L’articolo 9, allora, può essere rafforzato? Secondo me sì. Terzo esempio: la libertà religiosa. I padri costituenti scrissero principi che la affermavano in un mondo in cui il multiculturalismo non era nemmeno apparso all’orizzonte. Non avevano idea di cosa potesse essere un fenomeno migratorio come quello cui assistiamo oggi».

Come cambierebbe questi principi?
«È il caso di stabilire nella nostra Costituzione che può essere cittadino italiano solo chi rispetta in modo vero e profondo i principi e i valori del nostro Paese? Che questo multiculturalismo di cui tutti oggi parlano deve avere un limite nel rispetto dei pilastri della nostra Costituzione? Io credo proprio di sì».

Chi dovrà essere il motore di queste riforme? Il parlamento? Una commissione bicamerale? Un’assemblea costituente?
«La bicamerale ha prodotto esperienze che non è il caso di ripetere. La sede naturale è il parlamento. Ma, specie se vogliamo cambiare la prima parte della Carta, mi sembra difficile non coinvolgere le parti sociali, le espressioni della società civile, il terzo settore. E sarebbe strano voler creare il Senato delle regioni senza sentire le regioni stesse, che oggi nel Parlamento non sono rappresentate. Un organismo costituente avrebbe il vantaggio di coinvolgere queste realtà. In alternativa, il parlamento potrebbe usare strumenti come le audizioni, strutturandole bene».

Meglio una riforma come quella che lei ha appena descritto, adottata a maggioranza, o una riforma che vi soddisfa a metà, ma condivisa con il Pd?
«Il valore più alto è una riforma condivisa. Il Pd deve essere coinvolto, anche perché rappresenta un terzo dell’elettorato. Di certo, l’Udc non si sottrarrà: Casini lo ha già detto con chiarezza».

Resta l’Italia dei Valori.
«Sono arrivati a dare lezioni al presidente della Repubblica sulle celebrazioni di Craxi: non mi sembra che l’Idv sia un interlocutore dallo spirito “costituente”».

Ma lei crede davvero che il Pd avrà la forza di fare con voi un accordo che lo renderebbe impopolare a molti suoi elettori?
«La forza la deve trovare, altrimenti dimostrerà di essere un partito del “no”. Il Pd è chiamato invece a dire “sì” a un percorso politico che porti a una seconda Costituzione largamente condivisa. Bersani può avere problemi con l’ala giustizialista del suo partito, se guardiamo alla riforma della giustizia. Ma se guardiamo agli altri principi che vogliamo portare avanti, nella bozza Violante c’erano tutti. È sulla giustizia che ci vorrà un po’ di coraggio».

Molto coraggio.
«Ma il Pd sa che al capitolo giustizia noi non possiamo rinunciare. È nell’interesse dei cittadini. Non si può toccare tutto tranne il rapporto tra politica e giustizia, perché sarebbe una riforma monca».

Diciamo anche che il presidenzialismo che volete voi è più robusto di quello voluto dal Pd e previsto dalla bozza Violante.
«Vero. Ma per noi sono possibili anche aperture rispetto a certe richieste della sinistra, ad esempio sulle garanzie del parlamento. Un accordo si può trovare».

© Libero. Pubblicato il 3 gennaio 2010.

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