La sinistra alla guerra del tram

di Fausto Carioti

E va bene che la sinistra è alla canna del gas (forniture invernali da parte di Gazprom permettendo). Va bene pure che in tempo di guerra ogni buco è trincea e tutto il resto. Ci mancherebbe. Però Silvio Berlusconi era rimasto l’ultimo premier del mondo ad avere una fermata dell’autobus sul marciapiede sotto casa. Letteralmente. Questa fermata è stata rimossa ieri, con appena quindici anni di ritardo. «Motivi di sicurezza», ha spiegato la prefettura di Roma, cui si deve la decisione. C’era bisogno di Massimo Tartaglia e della sua statuetta tirata in faccia al presidente del Consiglio per arrivarci. Nel frattempo, in questi tre lustri, sotto casa del Cavaliere è successo di tutto, incluso lo scarico di vagonate di letame da parte dei no global alla vaccinara contigui alla giunta di Walter Veltroni. Che se invece di letame fosse stato - per dire - un esplosivo fatto in casa col fertilizzante, tipo quello usato da Timothy McVeigh per l’attentato agli uffici federali di Oklahoma City, ora staremmo qui a scrivere cose molto diverse. Insomma, tutto si può capire, ma il fatto che la sinistra adesso si attacchi al tram, anzi alla fermata del suddetto, per trasformare in un caso nazionale la sacrosanta ancorché tardiva rimozione della paletta di via del Plebiscito, ecco questo non si spiega, se non con la disperata esigenza di provare a fare cassa con tutto, sperando pure di accattarsi i voti dei passeggeri dell’autobus numero 64, che adesso devono usare la fermata di piazza Argentina anziché quella davanti a Palazzo Grazioli.

Eppure si è scesi a tanto. Con i Comunisti italiani che chiedono al premier «a quando l’edificazione di un muro divisorio?» e lanciano il grido d’allarme per «il rischio di creare un fossato ancora maggiore tra persone semplici e potenti». Associazioni di pedoni semiclandestine, convinte di essere davanti a una nuova Shoah, che irrompono nei notiziari urlando congestionate: «Vergogna. Vergogna. Vergogna!». Mentre Tonino di Pietro non può lasciarsi sfuggire uno spunto di confronto politico così alto, e infatti dal suo blog commenta che «tanto le escort arrivano in taxi».

Dove il resto della politica e della società sedicente civile ancora non ha la faccia di arrivare, ci pensano le avanguardie internettiane. Istruttive, come da tradizione, le pagine online di Repubblica, tornate ad essere (si fa per dire: come se mai avessero smesso di esserlo) la traduzione digitale degli umori della piazza più invelenita. Così su Repubblica.it spicca un articolo vibrante di sdegno, dove le frasi spaziano da «i cittadini non ci stanno» a «i cittadini imbufaliti non risparmiano critiche nei confronti del premier, in nome del quale è stato preso il provvedimento». Come sempre in questi casi, poi, i commenti lasciati sul Web riescono a scendere qualche gradino più in basso rispetto all’articolo che li ha ispirati. Tipo: «È la cosa più orribile che abbia mai visto», «Ma sto’ maledetto presidente del consiglio chi si crede di essere?», «Spero sparisca presto», «È come un tumore nel centro di Roma», «A me sembra una emerita stronzata». E così via. Frasi che si sposano bene con quelle dell’immancabile gruppo Facebook sorto per l’occasione, subito arricchito da «Maledetto Berlusconi!» ed epiteti simili.

Inutile spiegare a questo coro di gentiluomini, ad esempio, che a Londra la strada della residenza ufficiale del primo ministro, e cioè Downing street, anch’essa nel pieno centro della città e distinta dalla sede del governo, da vent’anni è chiusa al traffico da pesanti cancelli di ferro. Inutile perché tanto questi sono gli stessi scesi in piazza sventolando gli striscioni osannanti al pluriomicida mafioso Gaspare Spatuzza, per il semplice fatto che costui aveva puntato il dito sul premier. Parlare con loro della sicurezza di Berlusconi è come chiedere al mullah Omar di pregare per la salute di Barack Obama. E siccome di questi tempi non si butta via nulla, pure loro trovano giornali e politici disposti a prenderli sul serio.

© Libero. Pubblicato il 29 dicembre 2009.

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