Davanti al Rubicone

di Fausto Carioti

È presto per dire se Silvio Berlusconi, ieri, ha davvero varcato il Rubicone. E cioè se ha deciso di imboccare quel sentiero che, nelle sue intenzioni, dovrebbe consentirgli di scavalcare in un colpo solo il Quirinale, le procure armate di pentiti emersi all’improvviso da anni di amnesie, l’opposizione e gli alleati riottosi, in modo da riportare gli italiani al voto in primavera e tornare al governo più bello e più forte che pria. Di sicuro, però, in queste ore il Cavaliere ci sta pensando sul serio, e ieri ha fatto un nuovo passo importante in questa direzione. Anzi, due.

Il primo è stato la risposta a Gianfranco Fini. Freddo, il presidente della Camera gli aveva fatto sapere di non condividere le sue parole sulla Corte costituzionale e i magistrati, invitandolo a «precisare meglio» il suo pensiero. Glaciale, il presidente del Consiglio gli ha risposto che «non c’è niente da chiarire», dicendosi «stanco delle ipocrisie». Va da sé che ha parlato a Fini anche perché Quirinale intenda. Giorgio Napolitano infatti ha espresso «rammarico e preoccupazione» per le parole del premier, il quale, però, non pare più intenzionato a perdere il sonno per gli umori del Colle. La verità è che, da quando la Consulta ha bocciato il lodo Alfano, Berlusconi non ritiene più Napolitano - che a modo suo si era fatto garante per il successo dell’operazione - un interlocutore affidabile. I due saranno costretti a sopportarsi ancora, ma il premier non intende più chinare il capo. Basta «ipocrisie», appunto. E lo sgambetto fatto in commissione Giustizia dalla finiana Giulia Bongiorno al disegno di legge sul legittimo impedimento, il cui iter è stato ritardato almeno di un mese, ha rafforzato in lui la convinzione che lo vogliano cuocere a fuoco lento, e che serva un colpo d’acceleratore.

Il secondo strappo è l’adunata che il partito gli sta preparando per domenica, quando il Cavaliere farà la sua apparizione in piazza Duomo, a Milano, per un’uscita ufficialmente legata alla campagna di tesseramento del PdL, ma che potrebbe finire per avere significati molto più grandi. Come si legge nella lettera di mobilitazione inviata ieri a tutti gli eletti della Lombardia da Sandro Bondi, Ignazio La Russa e Denis Verdini, «è superfluo sottolineare l’importanza di dare, in questo particolare momento politico, il massimo sostegno al presidente Berlusconi». Insomma, nemmeno i suoi negano più che il premier stia attraversando una fase di vera emergenza, il momento più difficile delle legislatura. E proprio per questo si è deciso di saltare tutti gli intermediari, incluso lo stesso PdL, per consentire a Berlusconi di parlare direttamente agli elettori, unico terreno sul quale il Cavaliere non teme ostacoli. Così è già iniziata la pressione dei “falchi” per trasformare l’apparizione di dopodomani in un nuovo discorso dal Predellino, un momento di rottura il cui succo dovrebbe essere: chi vuole cambiare la Costituzione e costruire la terza repubblica, mi segua; gli altri li considererò avversari, alleati di chi non vuole cambiare il Paese.

Certo, un percorso iniziato in questo modo è una strada senza ritorno, che può riportarlo in poco tempo a palazzo Chigi e, tra qualche anno, al Quirinale, oppure può chiudere per sempre l’avventura del leader di piazza e di governo. Avendo tutti contro - tranne gli elettori, e infatti il rischio è proprio che costoro non siano chiamati ad esprimersi - la seconda ipotesi deve essere presa in considerazione. Quindi, anche se i segnali lanciati ieri fanno intuire una domenica con i fuochi artificiali, Berlusconi ci penserà moltissimo. Col cuore ha già scelto, con la testa ancora no. Ma lo scontro finale del Cavaliere e del suo popolo contro i “palazzi” - Quirinale, presidenza di Montecitorio, Consulta, Consiglio superiore della magistratura - appare comunque nell’ordine delle cose, e potrà essere solo rimandato.

© Libero. Pubblicato l'11 dicembre 2009.

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