Nucleare: vincitori e sconfitti dell'intesa Berlusconi-Sarkozy

di Fausto Carioti

È quello che succede agli sprovveduti. Poche settimane fa la sinistra italiana aveva scelto Nicolas Sarkozy come nuova luminosa guida dell’ambientalismo mondiale. Il presidente francese aveva appena frenato il tentativo italiano di allentare gli insostenibili vincoli europei che impongono la riduzione del venti per cento dei “gas serra” entro il 2020. Roberto Della Seta, capogruppo del Pd in commissione Ambiente, veltroneggiava felice: «Bravo Sarkozy, le sue parole sul pacchetto-clima sono una lezione di buon senso per la destra italiana». Pure la leader dei Verdi Grazia Francescato applaudiva commossa: «Sarkozy si è assunto con decisione il ruolo di paladino delle politiche ambientali». Cadeva vittima del mal francese persino il segretario rifondarolo Paolo Ferrero: «Sarkozy ha ragione e Berlusconi ha torto. Non vi è nessuna ragione perché la crisi economica modifichi gli impegni dell’Europa sul clima».

A chi conosce un po’ la faccenda veniva da ridere. Sarkozy, infatti, aveva tutto l’interesse a invocare tagli drastici alle emissioni di gas serra. Perché - è il dettaglio sul quale i compagni ecoentusiasti preferivano sorvolare - la Francia ha 59 grossi reattori nucleari in funzione (e un altro in costruzione), molti dei quali vicini ai nostri confini, che generano il 77 per cento dell’energia elettrica prodotta oltralpe. Parte della quale viene rivenduta a caro prezzo a noi italiani. Proprio un uso così massiccio del nucleare, energia economica e pulita dal punto di vista delle emissioni atmosferiche, consente alla Francia di dare ai combustibili fossili, i più inquinanti, un ruolo marginale, e quindi di raggiungere con tranquillità gli obiettivi europei.

Non solo: siccome la tecnologia nucleare francese, assieme a quella americana, è la più avanzata del mondo, più paesi aumentano il ricorso al nucleare, sotto la spinta dei vincoli europei e del trattato di Kyoto, più affari fanno le imprese transalpine. Sarkozy ieri lo ha detto chiaro e tondo: «Gli obblighi del 2020 sono impossibili da sviluppare solo con il ricorso alle energie rinnovabili. È necessario anche il nucleare. Per il 2020 bisognerà costruire centrali in maniera massiccia e nessuno deve porre veti». Qualcuno spieghi agli ecologisti de noantri che è proprio qui che il loro «paladino delle politiche ambientali», il piazzista dell’Eliseo, voleva arrivare.

L’intesa firmata da Berlusconi e Sarkozy, completata da due accordi sottoscritti da Enel ed Electricité de France, prevede che in Italia, entro il 2020, si costruiscano quattro centrali nucleari, ognuna dotata di un reattore da 1.600 megawatt. In parole povere, uno solo di questi impianti avrà una potenza maggiore di quella combinata delle vecchie centrali atomiche di Caorso, Latina, Garigliano e Trino Vercellese. Ogni nuovo impianto sarà controllato da una società che avrà l’Enel come socio di maggioranza ed Edf come azionista minoritario. Soprattutto, sarà francese la tecnologia delle nuove centrali: il modello è quello del reattore di “terza generazione avanzata” in costruzione a Flamanville. «La Francia ci ha messo a disposizione il suo know-how, e questo ci consentirà di risparmiare diversi anni e iniziare la costruzione delle centrali in un tempo assolutamente contenuto», ha spiegato Berlusconi. Quanto basta a procurare un travaso di bile ai vecchi ingegneri nucleari italiani: prima del referendum del 1987, infatti, quelli all’avanguardia nel mondo erano loro, grazie al grande progetto dell’atomo civile creato da Felice Ippolito, che proprio per questo suo merito, nel 1979 e nel 1984, fu fatto eleggere dal Pci al Parlamento europeo. Altri tempi.

Grazie ai quattro reattori “francesi”, nel 2020 l’Italia potrà ricavare dall’atomo circa il 10-12 per cento del proprio fabbisogno di elettricità, e smetterà così di essere l’unico paese industrializzato del mondo privo di centrali nucleari. Ma il governo Berlusconi intende affidare all’atomo il 25 per cento della produzione elettrica nazionale. Vuol dire che, oltre a Edf, c’è spazio - ad esempio - per gli americani della Westinghouse, che in Italia hanno già lavorato con Ansaldo, e forse anche per l’agenzia nucleare russa Rosatom, con cui l’Enel ha già sottoscritto un’intesa di collaborazione e che ha stretto una partnership con la tedesca Siemens. Tradotto nel linguaggio della grande politica, vuol dire che Berlusconi, ecumenicamente, nei prossimi mesi potrà raggiungere con i suoi amici americani, russi e tedeschi accordi simili a quello siglato ieri con Sarkozy. Affari in vista, dunque.

Ma, per una volta, la notizia è buona anche per noialtri consumatori. Da tempo, la bolletta elettrica delle famiglie e delle imprese italiane è la più alta d’Europa, quasi il doppio di quella francese. Oggi, tasse escluse, una famiglia italiana paga 16,6 euro per cento chilowattora di elettricità. La stessa fornitura costa 9,1 euro a una famiglia francese. Stesso discorso per le aziende: quelle italiane, sempre al netto delle imposte, pagano 10,3 euro quello che ai loro concorrenti transalpini costa 5,4 euro. Gli indicatori, del resto, parlano chiaro: più un paese si affida al nucleare, meno salata è la bolletta elettrica. Un concetto che sembra essere passato anche tra gli elettori. Lo scorso ottobre, ventuno anni dopo il referendum, un sondaggio Demos ha certificato che il 46,8 per cento degli italiani è favorevole alla costruzione di nuove centrali, mentre il 44 per cento si dice contrario. Anche se il fronte del «no» torna maggioranza quando si chiede se si è d’accordo con la costruzione di una centrale nucleare nella propria provincia: segno che, proprio su questo fronte, il governo avrà molto da lavorare.

© Libero. Pubblicato il 25 febbraio 2009.

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