Chiunque vinca in Abruzzo, Veltroni ha perso

di Fausto Carioti

Impossibile sapere adesso chi sarà il vincitore delle elezioni regionali in Abruzzo, dove si vota oggi e lunedì. Il nome del vero sconfitto, però, già si conosce: è Walter Veltroni. Qualunque cosa facciano gli elettori, il segretario del Partito democratico uscirà dal voto con le ossa rotte e con molti più problemi di quanti ne avesse prima. Un po’ perché la sorte è stata avara con lui, e lo ha messo sin dall’inizio in una situazione difficile. Un po’ perché Veltroni, per non smentirsi, ci ha aggiunto del suo.

Gli elettori abruzzesi sono stati chiamati alle urne in seguito alle vicende giudiziarie che a luglio avevano portato alle dimissioni del governatore Ottaviano del Turco, esponente del Partito democratico. Del Turco aveva vinto le elezioni nell’aprile del 2005 e governato la regione sorretto dalla coalizione dell’Unione. A succedergli si sono candidati in sei, ma la vittoria se la giocheranno in due: Gianni Chiodi, del Popolo della Libertà, e Carlo Costantini, deputato dell’Italia dei Valori, alla guida di una vasta alleanza di centrosinistra che ha nel Pd il suo pezzo forte e comprende anche Rifondazione e i Comunisti italiani. In altre parole i voti degli ex Ds e degli ex margheritini serviranno, se tutto andrà bene, a far eleggere governatore un uomo vicino ad Antonio Di Pietro, candidatosi in nome della palingenesi morale dell’Abruzzo, allo scopo di far dimenticare quella che Repubblica ieri ha chiamato «la stagione nera di Del Turco». Insomma, Veltroni chiede ai suoi di vergognarsi pubblicamente di chi li ha rappresentati sinora (e pazienza se Del Turco non ha ancora ricevuto alcuna condanna) per portare al governo della regione l’esponente di un altro partito che promette di fare l’esatto opposto di quanto fatto dal governatore del Pd. Niente di strano che in Abruzzo gli elettori del Partito democratico siano ancora più confusi e infelici che nel resto d’Italia.

Già adesso Di Pietro si permette di guardare dall’alto in basso l’alleato più forte. Ha imposto al Pd il suo candidato e persino il suo “codice etico”, in base al quale una condanna non definitiva basta per non essere candidati e un rinvio a giudizio diventa una presunzione di colpevolezza e impedisce di poter ricevere incarichi nelle amministrazioni locali. Veltroni ha accettato tutto: da quando la questione morale è tornata sulle prime pagine, è Tonino che traccia il solco. Walter si adegua.
Il risultato è che adesso, comunque vada in Abruzzo, Veltroni ne uscirà male.

Nell’ipotesi migliore, ovvero se l’esponente dell’Idv, capovolgendo i pronostici, dovesse riuscire a vincere, a presentargli il conto sarà Di Pietro. Dirà che la vittoria di Costantini è la conferma che il centrosinistra può spuntarla solo se segue le sue regole e si mette al servizio dei suoi candidati. Il risultato, del resto, parlerebbe da solo. Con tanti saluti alla “vocazione maggioritaria” e alle intenzioni di essere indipendenti dagli alleati sbandierate da Veltroni. In tempi nei quali la “questione morale” è la tempesta che minaccia di sfasciare il Pd, Di Pietro metterà a disposizione di Veltroni la sua certificazione di compatibilità etica. L’Idv si candiderà a essere il partito trainante dell’alleanza (se non nei numeri, almeno nella sostanza), nonché il filtro politico tra le procure di mezza Italia e gli amministratori locali del partito di Veltroni. Una scelta che metterebbe il Pd sotto la imbarazzante tutela di Di Pietro. E questa è una sorte che Veltroni deve evitare, anche perché i suoi non gliela perdonerebbero. Per un partito nato dall’accordo tra ciò che resta del Pci e buona parte della vecchia Democrazia cristiana, che nel bene e nel male avevano sempre difeso il primato della politica, è difficile immaginare un viale del tramonto più deprimente del commissariamento ad opera di un ex magistrato.

Peggio ancora, ovviamente, qualora dovesse avverarsi quella che oggi appare l’ipotesi più probabile: la vittoria del candidato di centrodestra. Perché a quel punto gli avversari interni rinfaccerebbero a Veltroni la scelta di aver schierato il Pd in posizione subalterna rispetto al partito di Di Pietro e di essersi fatto imporre la linea dall’alleato-rivale senza nemmeno essere riuscito a portare a casa un assessore. Massimo D’Alema e i suoi, convinti che l’alleanza con Di Pietro vada gettata a mare per costruirne una diversa, di stampo centrista, con Pierferdinando Casini, avrebbero nuovi e ottimi argomenti da ritorcere contro il segretario. Se non glieli metteranno subito in conto è solo perché vorranno tenerli da parte in vista della resa dei conti finale con Veltroni, che sarebbe stata in agenda nel mese di giugno, all’indomani delle elezioni europee, in caso di sconfitta del Pd, ma che adesso le vicende giudiziarie che stanno sconquassando il partito rendono imprevedibile nei tempi e nei modi.

Infine c’è la terza ipotesi: quella della catastrofe. Si verificherebbe qualora il candidato del centrosinistra perdesse le elezioni solo per colpa del Partito democratico. Ad esempio con il Pd ridotto a meno del 30% dei voti (alle politiche di aprile, in Abruzzo, aveva ottenuto il 33,4%), l’Italia dei Valori sopra al 10% (ad aprile aveva preso il 7%) e il Pdl ben oltre il 40% (in linea con quanto ottenuto alle politiche). Un esito simile a quello annunciato l’altro giorno da Berlusconi, quando aveva sostenuto che il centrodestra nella regione è «avanti di 13 punti». In questo caso Veltroni dovrebbe fare i conti, allo stesso tempo, con la sconfitta elettorale del candidato da lui appoggiato, con una forte affermazione politica dell’Idv, il cui peso nell’alleanza diventerebbe comunque ingombrante, e con il crollo del Pd, separato dal Popolo della libertà da un distacco di oltre dieci punti. Se le dimensioni della sconfitta dovessero essere queste, la leadership di Veltroni potrebbe essere messa in discussione già domani sera.

© Libero. Pubblicato il 14 dicembre 2008.

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