Il ricatto del gas russo

di Fausto Carioti

Vietato disturbare Vladimir Putin. Vietato dire a voce alta che il Cremlino usa i soldi di noialtri consumatori di gas per ridurre all’obbedienza la Georgia. Vietato notare che se il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad - quello che vuole cancellare Israele dalle cartine geografiche - continua a fregarsene delle Nazioni Unite è perché, dentro e fuori dal consiglio di sicurezza dell’Onu, c’è la Russia che lo difende. La classe politica italiana, in sintonia con quella europea, ha deciso che il trattato del Nord Atlantico che ci lega agli Stati Uniti vale meno dei contratti di fornitura siglati con Gazprom. Così piega la testa e si barcamena in modo sempre più goffo tra Washington e Mosca: troppo grande è la paura che qualcuno chiuda il rubinetto che porta nelle nostre case il gas della Siberia.

Il comportamento tenuto dinanzi alla crisi georgiana appare dettato più dal panico che dalla ragione. Da Tbilisi, capitale della Georgia, passa infatti il gasdotto BTE, che da Baku, in Azerbaigian, arriva sino a Erzurum, in Turchia. Una volta collegato a oriente con la sponda opposta del Mar Caspio, tramite una condotta sottomarina, e a occidente con Vienna, per mezzo del progettato gasdotto Nabucco, l’Europa, e anche l’Italia, avrebbero accesso ai ricchi giacimenti di gas di Azerbaigian, Turkmenistan e Kazakistan senza doversi sottoporre al giogo russo. Insomma, ci sarebbe più concorrenza tra i nostri fornitori, i prezzi potrebbero persino scendere e non avremmo messo la nostra sopravvivenza nelle mani di un solo Paese. Ma per riuscirci, appunto, occorre che la Georgia sia libera dall’influenza di Mosca.

Ora, se da un punto di vista politico, con il ritiro dei cingolati russi, Tbilisi dovrebbe tornare a respirare, da un punto di vista militare il segnale che Putin ha mandato al mondo è chiarissimo: le sue truppe possono entrare in Georgia, e prendere il controllo dei gasdotti e degli oleodotti, quando e come vogliono. Un investitore, a questo punto, avrebbe mille motivi per chiedersi se sia sensato mettere soldi in un progetto osteggiato dal Cremlino. Così, mostrandosi molli dinanzi all’allargamento della sfera d’influenza russa, l’Europa e l’Italia hanno contribuito a rafforzare il monopolio di Gazprom nei loro confronti per i prossimi decenni.

Il governo italiano, per una volta in sostanziale intesa con l’opposizione, cerca ancora di replicare lo schema adottato da Silvio Berlusconi a Pratica di Mare nel 2002, quando il premier riuscì a mediare con successo tra Putin e il presidente americano George W. Bush. All’inizio dell’estate il ministro degli Esteri, Franco Frattini, aveva detto che l’obiettivo del nostro Paese era proprio quello di «rilanciare lo spirito di Pratica di Mare», spiegando agli «amici russi» che lo scudo antimissilistico americano nell’Europa orientale «non è certo costruito contro di loro». Una posizione quasi “terzista”, ispirata anche dai numerosi accordi siglati, specie negli ultimi anni, tra Eni e Gazprom, con la benedizione congiunta del centrosinistra e dell’attuale maggioranza.

Fatto sta che oggi, dopo l’invasione della Russia in Georgia (Paese candidato a entrare nella Nato), dopo che il presidente russo Dmitry Medvedev ha detto che lo scudo antimissile «è chiaramente anti-russo», tanto da promettere ritorsioni «non solo diplomatiche», e dopo che i vertici della Nato hanno annunciato che con la Russia le cose «non potranno più essere come prima», il disegno italiano deve considerarsi fallito. Frattini, che ancora ieri richiamava la Russia alla collaborazione «indispensabile» con la Nato, è sembrato non aver colto la portata degli ultimi eventi. Nelle prossime settimane, quando il segretario di Stato americano Condoleezza Rice sarà in visita a Roma, lui e Berlusconi faranno bene a usare un linguaggio più realista.

Anche perché gli Stati Uniti sono convinti - a ragione - che il ricatto del gas russo, così temuto dall’Italia e dagli altri Paesi europei, esista solo nei nostri incubi. È vero che il gas che ci serve per cuocere la pasta, tenerci al caldo e alimentare le nostre centrali elettriche possiamo averlo solo da Gazprom, da cui oggi proviene un terzo del metano bruciato in Italia. Per inciso, la Germania acquista dalla Russia il 43% del suo gas e la Francia il 12%, e i russi sono stati molto bravi a dividere i Paesi europei con numerosi contratti bilaterali, in modo da non avere davanti un unico, potentissimo acquirente. Ma è altrettanto vero che, se non lo vende a noi europei, la Russia il suo gas non lo può dare a nessun altro, e a Mosca hanno bisogno dei nostri soldi tanto quanto noi abbiamo bisogno del loro metano. A Washington, del resto, sanno bene come funzionano certe cose: il presidente venezuelano Hugo Chavez ogni volta che apre bocca sputa veleno sugli Stati Uniti. Ai quali, però, continua a vendere il petrolio del suo Paese. Proprio perché conviene anche a lui: business is business.

© Libero. Pubblicato il 23 agosto 2008.

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