La casta non ha perso l'appetito

di Fausto Carioti

L’importante è non prenderli troppo sul serio. L’ultima campagna elettorale è stata una gara a chi prometteva i tagli più mirabolanti agli sprechi della politica. Fatta la grazia (l’elezione), gabbato lo santo (l’elettore). Appena arrivati in parlamento, la sfida è proseguita, ma l’obiettivo adesso è un altro: nella nuova corsa vince chi dirotta più soldi dei contribuenti verso gli amici e gli amici degli amici. Sperando nella loro gratitudine. Stavolta, però, si gioca sottotraccia, lontani dalle telecamere: l’importante è che la cosa sia nota ai pochi che avrebbero da guadagnarci. Ci hanno pensato i benemeriti dell’istituto Bruno Leoni, sanguigno think-tank liberista, a portare un po’ di materiale alla luce del sole. In un dossierino di sei pagine hanno passato al setaccio le proposte presentate in questi primi cento giorni della nuova legislatura, alla ricerca di quelle “leggine”, sconosciute ai più, che aumentano i costi della politica e creano privilegi per vecchie e nuove “caste”. A spese di quegli stessi elettori ai quali, pochi mesi prima, era stato promesso tutt’altro.

Le province, innanzitutto. A parole, una vastissima maggioranza dei parlamentari è favorevole alla rapida cancellazione di questi enti, ritenuti fonti di sprechi economici e di confusione legislativa. Gli esponenti della sinistra Cesare Salvi e Massimo Villone, nel loro libro “Il costo della democrazia”, hanno contato la bellezza di 3.039 consiglieri provinciali. Le buste paga dei soli presidenti e vicepresidenti di provincia costano ogni anno ai contribuenti oltre undici milioni di euro, ma la vera abbuffata, come al solito, è il giro di assunzioni, consulenze e appalti che ruotano attorno a questi enti. Non a caso, Salvi e Villone proponevano di bloccare l’istituzione di nuove province. Idea che condividono più o meno tutti, ma solo a parole. Dal dossier dell’istituto Bruno Leoni spuntano infatti fuori le proposte di legge presentate nei mesi scorsi per creare la provincia della Valcamonica (un’idea marchiata Lega) e quella di Lanciano-Vasto-Ortona (Pdl, subito ritirata), affiancate dalle proposte per dare lo status di provincia autonoma, con relativi privilegi, alle province del Verbano-Cusio-Ossola (Lega), Belluno (Pdl) e Bergamo (Lega). Tutte idee, manco a dirlo, partorite da parlamentari che hanno a cuore i territori in questione anche per motivi elettorali.

Come da tradizione, è con albi professionali e affini che i parlamentari più o meno noti (spesso meno) danno il meglio di loro stessi. È un altro di quei casi in cui l’attività parlamentare va contromano rispetto al sentire comune e alle dichiarazioni degli stessi politici. In teoria, tutti sono d’accordo nel rendere più facile l’accesso al mondo del lavoro e nel sottoporre il Paese a una robusta dose di liberalizzazioni. Peccato che poi, chiusi nella loro stanza a Montecitorio o palazzo Madama, si impegnino ad intrecciare nuovi lacci e lacciuoli.

I risultati spesso sono grotteschi. Tipo quelli che ottiene Silvana Mura, dell’Italia dei Valori, con la sua proposta per disciplinare la figura del “consulente filosofico”, istituendo anche un albo professionale per questa nuova categoria. Ma il vizio è bipartisan. Nel Pdl, in particolare, tanti sembrano essersi scordati (ammesso che l’abbiano mai letta) la “predica inutile” di Luigi Einaudi contro gli albi professionali. «Ammettere il principio dell’albo obbligatorio», scriveva Einaudi, «sarebbe un risuscitare i peggiori istituti delle caste e delle corporazioni chiuse, prone ai voleri dei tiranni e nemiche acerrime dei giovani, dei ribelli, dei non-conformisti». Ce l’aveva con l’ordine dei giornalisti, certo, ma anche con tutti gli altri albi imposti per legge. E invece nel Pdl c’è chi vuole regolamentare la «professione intellettuale di ufficiale giudiziario», istituire l’ordine dei “tecnici laureati in ingegneria” (la cui differenza rispetto ai normali ingegneri è tutta da scoprire), creare l’albo degli statistici e quello dei pedagogisti, da affiancare all’“ordine professionale dei traduttori e interpreti”. La Lega Nord risponde con la proposta di legge intitolata “Norme per maestri di fitness”: scomodando nientemeno che la tutela della salute pubblica, si finisce per istituire l’ennesimo albo professionale. Stavolta, però, su base regionale, come federalismo comanda.

Come sempre, è a tavola che i politici italiani si mostrano più attivi. Il senatore Francesco Maria Amoruso, ad esempio, si lamenta che, tra tanti albi, manchino proprio quelli dei cuochi e dei pasticcieri, con il rischio di mandare allo sbaraglio chef dilettanti. «Non a caso», nota allarmato nel suo disegno di legge, «le cronache, soprattutto estive, rimarcano con frequenza infortuni gastro-intestinali di cui sono vittime i consumatori». Il rimedio è pronto: basta creare un ordine dei cuochi professionisti, i quali eleggono il loro consiglio nazionale che, a sua volta, fissa il contributo obbligatorio che gli iscritti debbono pagare ogni anno e «delibera le materie e le prove, teoriche e pratiche», dell’esame per diventare cuochi, «comprendenti anche nozioni di scienza dell’alimentazione e di cucina del territorio». La procedura è un po’ complessa, ma così, finalmente, certi «infortuni gastro-intestinali» prodotti dall’impepata di cozze cucinata da mani non adeguate saranno un brutto ricordo.

Pugliese come Amoruso, il senatore del Pdl Rosario Giorgio Costa è capace però di pensare più in grande. Al punto da voler introdurre nientemeno che la Pep, la patente europea per i pizzaioli, con annesso l’immancabile albo dei pizzaioli italiani. La motivazione è di quelle che non lasciano spazio a obiezioni: «La pizza è un’arte», si legge nella relazione che accompagna la proposta, «e occorre una formazione specialistica per poter diventare dei professionisti del settore». Non a caso, il percorso di selezione previsto è durissimo: gli aspiranti professionisti della Quattro Stagioni dovranno frequentare un corso di «almeno centoventi ore», sessanta delle quali trascorse in laboratorio, venti a imparare una lingua straniera, venti a studiare scienza dell’alimentazione e altre venti passate a occuparsi di «igiene e somministrazione di alimenti». I sopravvissuti dovranno fare un esame finale, teorico e pratico, davanti ad una «apposita commissione di esperti nominati dal ministero dell’Istruzione». La proposta non spiega con quali criteri il ministro debba scegliere gli esperti assaggiatori di pizza. Ma il sospetto che si tratti di un modo per trovare un posto e uno stipendio agli ex parlamentari è forte. Difficile, del resto, trovare qualcuno altrettanto abile nel maneggiare la forchetta.

© Libero. Pubblicato il 31 luglio 2008.

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