Aborto e luoghi comuni

Il bello di questo paese è che riesce a mandare subito in vacca ogni argomento, anche quello con le più profonde implicazioni etiche e dai risvolti scientifici più complessi. Si banalizza tutto (e qui noi giornalisti, per quel poco che contiamo, abbiamo la nostra fetta di responsabilità) e si riduce ogni argomentazione a sillogismi elementari, che chiunque può raccogliere lungo i sentieri comodi già tracciati dalle ideologie. Tipico esempio di questo svacco dei neuroni è il dibattito sull'aborto.

Il copione è stato recitato dozzine di volte. Qualcuno (da destra o da sinistra non ha importanza) propone di rivedere la legge 194, o il modo in cui essa è applicata. Almeno metà della sinistra reagisce indignata sostenendo che il malcapitato ha parlato sotto dettatura del Vaticano. Il quale ovviamente viene accusato di ingerenza nei confronti dello stato italiano (attendo invano da anni che qualcuno spieghi perché l'Arcigay può - giustamente - chiedere ai parlamentari di comportarsi in un certo modo e la Chiesa no). Due terzi della destra intanto maledicono in silenzio lo sciagurato che ha voluto riaprire la questione, che da quelle parti è fonte di serio imbarazzo: l'adesione di facciata a certi valori imporrebbe di cavalcare le ragioni pro-life, ma la doppia morale di molti esponenti della destra e l'atteggiamento degli elettori (nettamente favorevole al mantenimento della legge 194, almeno a vedere i sondaggi) consigliano di lasciare tutto come è. Quindi ognuno dice le stesse cose che ha detto la volta precedente. E tutto, infatti, finisce sempre come la volta precedente: in un nulla di fatto. Fino alla sortita seguente, quando la scena si replica per l'ennesima volta.

Anche stavolta che il dibatto è stato rilanciato dall'uscita di Sandro Bondi il copione è lo stesso. Ma, come tutti i copioni stereotipati, è zeppo di errori e semplificazioni cialtrone. La prima cialtronata è confondere la revisione delle linee guida della legge 194 (la proposta di Bondi) con la revisione della stessa legge. Sono due cose diversissime: nel primo caso la legge resta così com'è, non se ne cambia nemmeno una virgola. Non è cosa da poco, anche se a sinistra c'è chi finge di non vedere questa enorme differenza per poter continuare a dire le solite cose sul Vaticano che lancia un'opa sul parlamento italiano, sulla destra che umilia il corpo femminile (per inciso: a sinistra c'è gente che pensa che l'aborto possa essere un momento «di crescita» della donna) e robe simili. Confondere la proposta di rivedere le linee guida della legge 194 con la richiesta di riscriverla svela inoltre la grande paura di una parte della sinistra. E cioè che si venga a scoprire che la 194 è stata snaturata e in moltissimi casi è diventata un lasciapassare per l'aborto facile, veloce e gratuito. Meglio quindi "buttarla in caciara", come si dice a Roma. Cioè confondere le acque, strillare slogan facili e impedire ogni tentativo di applicare la legge in modo rigoroso.

La seconda cialtronata è dire, come fa la sinistra abortista, che la proposta del coordinatore di Forza Italia sia stata lanciata su impulso del Vaticano, e in particolare di monsignor Camillo Ruini. Non è così. E' vero l'esatto contrario, e cioè che la sortita di Bondi ha messo in imbarazzo la Chiesa. Due dichiarazioni, nel caos di queste ore, aiutano chi ha occhi per vedere a capire la cosa. La prima è dell'udc Mario Baccini, dotato (lui sì, altro che Bondi e Ferrara) di buoni rapporti con il Vaticano. Baccini ha parlato poco dopo l'uscita di Bondi, e le sue parole spiegano bene quello che vuole la Chiesa: «Solo quando saremo pronti e sicuri di vincere con convinzione, senza forzature, la battaglia in parlamento,varrà la pena di proporre la revisione delle linee guida della 194, altrimenti si corre solo il rischio di rafforzare l'area abortista». Tradotto in soldoni: Bondi ha sbagliato, non è il momento per uscirsene con simili sparate, ora bisogna lasciare tutto così com'è. Il che non vieta, ovviamente, di battersi nel frattempo per far applicare integralmente la legge 194. Inclusa ad esempio la norma, quasi sempre disapplicata, con cui si stabilisce che i consultori, «sulla base di appositi regolamenti o convenzioni, possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita». L'altra dichiarazione da leggere con attenzione è quella del cardinale Ruini, rilasciata prima dell'annuncio di Bondi. Non fermatevi al titolo, leggete bene il virgolettato: Ruini chiede innanzitutto di «applicare integralmente la legge sull'aborto», anche «in quelle parti che davvero possono essere di difesa della vita». Quindi («forse», dice cautamente il monsignore) propone di «aggiornarla al progresso scientifico che ad esempio ha fatto fare grandi passi avanti alla sopravvivenza dei bambini prematuri». Un adeguamento dei termini della legge alle nuove tecnologie mediche e diagnostiche, insomma, non una revisione dei "diritti" in essa contenuti. Lo stesso titolo che l'Osservatore Romano del 2-3 gennaio ha dato all'articolo sulle parole di Ruini parla chiarissimo: «Per il cardinale Ruini occorre applicare la legge sull'aborto». Ripeto: «Applicare» la legge, non riscriverla.

Terza cialtronata in voga in questi giorni: credere o far credere che via sia piena consonanza d'intenti tra Giuliano Ferrara e la Chiesa, tramite la Cei e/o il Vaticano. Anche in questo caso, invece, Oltretevere si registra una forte dose d'imbarazzo. Va bene chiedere una moratoria Onu sull'aborto, ma ogni altra iniziativa rischia di terminare in una grande sconfitta politica. La causa di Ferrara, direttore di un quotidiano con bassa tiratura e alto peso specifico, non è la stessa della Chiesa. Questa si rivolge a tutti ed è calata nel nostro mondo, e - piaccia o meno - tra i principi che regolano la sua azione ci sono anche la cautela e il timore di una nuova sconfitta. L'affondo del Vaticano sull'aborto, se mai ci sarà, si farà quando ci sarà la certezza di vincere. Sino ad allora, ogni accelerazione è vista con enorme sospetto. Non scordiamo mai che Oltretevere brucia ancora, e parecchio, l'esito del referendum sull'aborto, la grande sconfitta politica della Chiesa italiana. Il fatto poi che una parte del mondo cristiano si senta (più che comprensibilmente) attratta dalla battaglia di Ferrara non entusiasma, perché mette la Chiesa davanti alla sua debolezza politica più grande: quella, appunto, di dover trovare un compromesso tra i valori che difende, le circostanze in cui opera e le prevedibili conseguenze del suo agire. Compromesso che Ferrara, con la sua splendida guasconeria, può permettersi di ignorare, risultando così più accattivante di molti cardinali, costretti a mille cautele. (A questo proposito faccio presente che Avvenire, il quotidiano dei vescovi, sta tenendo una linea di grande cautela sull'iniziativa del direttore del Foglio e sulle richieste di riscrivere la legge 194).

Alla fine, per quanto riguarda il sottoscritto e al di là dei tempi e delle convenienze della politica, la questione è tutta racchiusa in quella domanda drammatica resa popolare proprio da Ferrara: cos'è l'embrione? E' "qualcosa" o "qualcuno"? E se è prima qualcosa e poi diventa qualcuno, quando è che avviene questa trasformazione? Per chi, come me, pensa che l'embrione sia "qualcuno", e che sia tale dal concepimento, perché (cito quel pericoloso sanfedista di Vittorio Prodi) «nel processo di formazione di una persona l'unica vera discontinuità è data dalla fecondazione dell'ovulo con uno spermatozoo», i fini da raggiungere sono chiari. E la religione non c'entra proprio nulla. C'entra solo il rispetto della vita. Che mi auguro non sia prerogativa dei soli credenti.

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