Le cifre di Prodi (e quelle vere)

di Fausto Carioti

Una cosa giusta Romano Prodi ieri l'ha biascicata. Quando ha ricordato a Lamberto Dini che i governi si mandano a casa con le votazioni di sfiducia, e non con le interviste sui giornali, gli ha rammentato una verità lapalissiana. A 76 anni suonati il senatore ha ormai l'età per decidere cosa fare da grande: se davvero vuole che Prodi vada a casa, proponga una bella mozione di sfiducia, oppure voti quella che il centrodestra farebbe bene a presentare non appena ricominceranno i lavori parlamentari. L’annuncio, fatto ieri alla Stampa, di voler votare la fiducia a Tommaso Padoa Schioppa il 22 gennaio, «perché a dover essere sfiduciato è Prodi, non il ministro dell’Economia», fa capire che Dini ha intenzione di continuare con i suoi bizantinismi e mantenere il piede in due scarpe. Per una volta, farebbe bene invece a seguire il consiglio di Prodi: se deve staccare la spina al governo si decida a farlo, altrimenti smetta di minacciare gesti che poi non compie. Per il resto, la conferenza stampa di fine anno fatta ieri da Prodi è stata la sintesi perfetta dei dodici mesi di governo che si stanno per chiudere: da Prozac. Nemmeno il racconto mitologico in cui si è esibito il presidente del consiglio, quando ci ha mostrato quell’Italia felice e vincente che purtroppo esiste solo nel boschetto della sua fantasia, è riuscito a renderla meno deprimente.

Consapevole di essere vulnerabile, Prodi ieri ha pensato bene di chiudere la conferenza stampa in modo da evitare le domande di tanti giornalisti (incluso quello di Libero) ai quali era stato invece promesso che avrebbero potuto chiedergli conto del suo operato. Così facendo, il premier ha mostrato anche scarso rispetto per la libertà di stampa. La scaletta dei cronisti che sarebbero intervenuti era nota dal giorno prima, ma l’ultima domanda che ha accettato, guarda caso, è stata quella del fido Tg1.

Come è abituato a fare quando si sente messo all’angolo, Prodi ha cercato rifugio dietro ai numeri dell’economia. Ma, tra mezze verità e omissioni plateali, li ha manipolati in modo da costruirci un Paese che non c’è. Ha detto che grazie a lui l’Italia «si è rimessa a camminare», perché «la crescita si attesta da due anni attorno al 2%». Non è proprio così. Quest’anno - lo dicono le stime dell’Ocse, dell’Isae e dell’ufficio studi di Confindustria - l’economia italiana crescerà dell’1,8%. Tanto per cambiare (ma questo Prodi non l’ha detto) siamo in fondo alla classifica continentale: nell’area dell’euro, in media, nel 2007 la crescita è stata del 2,6%. Nel 2008 andrà peggio: la Commissione europea ha previsto che l’economia del nostro Paese, come quella dell’intera eurozona, rallenterà. Il prossimo anno cresceremo appena dell’1,3-1,4%. Quella italiana, come ha ricordato il commissario all’Economia, Jaquin Almunia, sarà però la crescita «più bassa della zona euro», dove la ricchezza prodotta aumenterà invece del 2,2%. In parole povere, siamo sempre i più lenti di tutti, continuiamo a viaggiare a 60 chilometri all’ora quando i nostri vicini di casa, in media, ne fanno 100, e qualcuno arriva a 130. Prodi non ha alcun motivo per vantarsi dell’andamento dell’economia italiana.

Il segnale concreto della «fine dell’emergenza», secondo lui, sarebbe il contenimento del deficit pubblico, cioè della differenza tra entrate e uscite durante il 2007, entro il 2% del prodotto interno lordo. In realtà, tutti gli osservatori dicono l’esatto contrario: nell’anno in corso il rapporto tra deficit e Pil dovrebbe attestarsi attorno al 2,2-2,3%, a causa dell’aumento della spesa pubblica voluto da Prodi e dal suo governo. A meno che il ministro Tommaso Padoa-Schioppa non abbia in mente l’ennesimo espediente contabile, non si capisce da dove Prodi abbia tirato fuori la sua previsione.

Comunque sia, anche in questo caso il premier pecca di omissione grave. Non dice, intanto, che se nell’anno in corso il deficit non è esploso è stato solo grazie alla comparsa miracolosa dei “tesoretti”, cioè a entrate fiscali superiori alle aspettative, e all’aumento delle tasse. Nel 2006 la pressione fiscale era pari al 42,3% della ricchezza prodotta dagli italiani; nel 2007 è arrivata al 43%. La differenza (0,7 punti di Pil) è pari a una spremuta da 10 miliardi di euro per i contribuenti. Prodi omette anche di dire che se avesse usato questo maggior gettito solo per mettere in sesto i conti, invece che spenderne una parte importante per venire incontro alle richieste dei suoi alleati (indimenticabile Alfonso Pecoraro Scanio quando chiese di usare il “tesoretto” per combattere l’effetto serra), oggi la contabilità di Stato sarebbe assai meno traballante. Altro che anno del raddrizzamento della finanza pubblica: il 2007 è stato un’enorme occasione persa.

È verissimo, invece, che oggi il tasso di disoccupazione italiano è il più basso «da 25 anni, nettamente sotto la media europea». Ma anche questa non è una medaglia che Prodi può mettersi al petto. Piaccia o meno, la riduzione della disoccupazione è dovuta al pacchetto Treu, varato dal centrosinistra due legislature fa, ma del quale adesso il centrosinistra si vergogna, e alla legge Biagi, introdotta dal governo Berlusconi, della quale Prodi disse che «ha distrutto un’intera generazione». Insomma, o Prodi si prende i meriti della legge Biagi e dei contratti “flessibili” che essa ha introdotto, ma allora la difende davanti ai suoi alleati trinariciuti. Oppure continua a criminalizzarla, ma in questo caso dovrebbe avere il buon gusto di non andare in giro a vantarsi dei risultati che essa ha prodotto.

© Libero. Pubblicato il 28 dicembre 2007.

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