La lezione di Gordon Brown a Romano Prodi

di Fausto Carioti

La sinistra italiana, paragonata a quella inglese, vive nelle caverne e deve ancora imparare ad accendere il fuoco con le pietre. Per arrivare a questa conclusione non è necessario studiare testi di politologia. Basta sfogliare la Gazzetta dello Sport. Ieri, tra un’intervista a Roberto Donadoni e le pagelle della Champions League, i lettori più sventurati della “rosea” si sono imbattuti in una lunga lettera di Romano Prodi sull’andazzo del calcio internazionale. Oltre a ribadire le doti che gli hanno procurato il soprannome di Valium, il presidente del Consiglio conferma che le sue affinità ideologiche sono con i piagnoni della “izquierda bananera”, tipo il venezuelano Hugo Chavez, piuttosto che con i leader della sinistra moderna, come il premier britannico Gordon Brown. Prodi non è ancora riuscito a digerire il libero mercato, a venire a patti con il profitto, a capire che ci sono cose dalle quali è bene che i governi tengano lontane le grinfie. Tra quanto scritto da Prodi e quanto detto poche ore dopo, sullo stesso argomento, dal primo ministro inglese, c’è almeno mezzo secolo di storia della sinistra.

È iniziato tutto da un appello che Michel Platini, presidente della Uefa, l’organismo che governa il calcio nel vecchio continente, ha rivolto ai leader europei per invitarli a intervenire contro «la nefasta onnipresenza del denaro nel calcio» e a difendere la «solidarietà sociale e finanziaria tra ricchi e poveri». Il fatto che campioni d’Europa siano i misconosciuti calciatori della nazionale greca non smuove il suo ragionamento: il calcio oggi è solo denaro, non ci sono più i valori di una volta, ai piccoli restano solo le briciole.

Davanti a tanto luogocomunismo, Prodi non poteva restare impassibile. Ha scritto alla Gazzetta per dirsi d’accordo con tutto quello che sostiene l’ex campione francese. Già che c’era, si è fatto un po’ di pubblicità a costo zero: «La scelta del nostro governo di far nascere per la prima volta un ministero dello Sport e delle Politiche giovanili testimonia con evidenza con quale attenzione si voglia procedere per sviluppare il binomio valori-gioventù, che sarà al centro del messaggio che il ministro Melandri porterà al consiglio europeo». Ecco, ora che lo sanno, anche gli altri paesi potranno migliorare il calcio: basta creare l’ennesimo dicastero e mandare in giro per l’Europa una ministra che non distingue un fuorigioco da un pallonetto, ma è capace di sparare banalità a raffica senza battere ciglio. Il resto della lettera di Prodi deve averlo scritto il ghost writer di riserva: frasi da ascensore tra vicini di casa che a fatica si conoscono, tipo il professionismo è «esasperato» e c’è «un intreccio perverso», signora mia, tra marketing ed eventi sportivi.

Ora, anche se fa male all’orgoglio nazionale, bisogna confrontare tutto questo con il secco comunicato con cui Gordon Brown ha risposto a Platini. Primo: «Ci sono materie che riguardano le autorità calcistiche nazionali, che dovrebbero rispondere direttamente alle esigenze dei tifosi. Il governo riconosce e supporta l’autonomia dello sport e i suoi diritti di autoregolamentazione». Vuol dire che i governi in questa storia non devono avere nulla a che fare. Secondo: «Non ci sono dubbi che l’influenza del denaro nel calcio è una testimonianza del suo successo e ha portato molti benefici». Vuol dire che Platini sbaglia a rompere le scatole con le sue lagne pauperiste. In ambedue i casi, la risposta di Brown è opposta a quella di Prodi. Il gap evolutivo tra le due sinistre che costoro rappresentano è umiliante: a Downing Street c’è un astronauta, qui abbiamo un ominide con la clava.

© Libero. Pubblicato il 21 settembre 2007.

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