Il decalogo di Fassino: troppo tardi, troppo goffo

La classe politica italiana ha un problema, rappresentato dal crescente disgusto dei cittadini nei suoi confronti. Riguarda soprattutto la sinistra, come confermano i sondaggi su Beppe Grillo, uno che al momento sta facendo senza dubbio più male alla maggioranza che all'opposizione. Normale che sia così. Intanto i cittadini se la prendono con chi governa, e oggi governa la sinistra. E poi molti dei temi portati avanti da Grillo - lotta alla legge Biagi, opposizione alla campagna militare in Iraq etc - fanno sì che le sue "proposte" peschino meglio nel bacino degli elettori dell'Unione, dove i delusi abbondano.

A sinistra stanno cercando di metterci una pezza. Alcuni, come Oliviero Diliberto, sparando panzanate sulle reti pubbliche, dove ripetono che loro da tempo hanno in cantiere interventi mirabolanti per ridurre le spese della politica e hanno già introdotto un tetto di due mandati per i loro parlamentari. Siccome Diliberto è già al suo quarto mandato, ognuno è libero di valutare quanto simili affermazioni siano credibili.

Anche Piero Fassino sta cercando di correre ai ripari. Ha appena elaborato un decalogo "contro l'antipolitica", pubblicato oggi su Repubblica. Prevede, tra le altre cose, la riduzione del numero dei deputati a 400 e quello dei senatori a 150, il dimezzamento del numero delle Province, il contenimento dei consiglieri d'amministrazione delle società pubbliche a un massimo di 5 per ogni Cda, la soppressione degli enti inutili.

Tutta roba sulla quale si potrebbe anche discutere. Con un piccolo particolare. Queste sono cose che si fanno non sui giornali, ma in Parlamento. Il parlamentare deposita una proposta di legge, il gruppo parlamentare al quale appartiene mostra di crederci e il capo del gruppo parlamentare, in conferenza dei capigruppo, la fa calendarizzare il prima possibile. Quindi viene discussa, votata, magari emendata e quindi approvata o respinta. Come si fa nelle democrazie parlamentari. E Fassino di professione non fa il comico, ma il deputato. E' anche il segretario del maggior partito della maggioranza, e questo renderebbe l'iter che ho appena descritto molto più semplice.

Purtroppo, se si vanno a guardare le proposte di legge presentate da Fassino, non si trova nulla di tutto questo. La firma di Fassino, come chiunque può controllare, appare su altri provvedimenti, che evidentemente ha ritenuto più urgenti. Tipo le "Nuove disposizioni in materia di cooperazione allo sviluppo", le "Celebrazioni in memoria delle donne partigiane combattenti" o la "Istituzione del Garante per l'infanzia e l'adolescenza". Cose senza dubbio fantastiche, ma che appaiono ben distanti da quelle per le quali si sta sbattendo adesso.

Di più: non solo il nome di Fassino non appare in nessuna delle proposte di legge che puntano a ridurre il numero dei parlamentari (senza dubbio il punto più forte del decalogo), ma le pochissime tra queste presentate sinora da esponenti ulivisti portano la firma di "eretici" che non sono stati seguiti dallo stato maggiore dei Ds. Cani sciolti come Manzione, Bordon, Spini: gente che ormai predica nel deserto persino in casa propria. Le loro proposte infatti languono nei cassetti delle commissioni. Dimenticate da tutti, per primi dagli uomini della sinistra.

Con ciò non intendo dire che non credo alla sincerità di Fassino. Se ha scritto quel decalogo, probabilmente lo ha fatto perché ci crede. A dirla tutta, con i sondaggi che danno il suo attuale partito, il partito democratico e l'intera coalizione, già a picco, ulteriormente bastonati dagli elettori infervorati dalla cosiddetta antipolitica, il segretario dei Ds è obbligato a credere a qualunque cosa per arrestare l'emorragia. Ma i modi e i contenuti, purtroppo per lui, sono goffi, e la sua iniziativa appare irrimediabilmente in ritardo.

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