Il petroliere di sinistra e l'Unità

di Fausto Carioti

Di certo, se nonostante le sue smentite l’Unità dovesse finire davvero nelle mani di Massimo Moratti, non ci sarebbe nulla di strano. E l’errore più grosso sarebbe credere alla favola del miliardario zapatista che mette mano al portafoglio mosso da chissà quali ragioni di cuore. Niente di più sbagliato. Gli imprenditori che si buttano a sinistra appartengono a due categorie: i masochisti (Silvio Berlusconi usa un’altra espressione, ma il concetto è lo stesso) e quelli che lo fanno per interesse. Il masochismo di Massimo si limita all’Inter, e forse ha smesso di farsi del male pure lì. In tutti gli altri campi il quarto figlio di Angelo Moratti i suoi affari ha sempre mostrato di saperli fare. Eppure questa storia del petroliere sognatore con le mani bucate gira da sempre. Magari continua a girare anche perché fa comodo al diretto interessato.

La notizia l’ha data Panorama, settimanale che fa capo alla berlusconiana Mondadori: il presidente dell’Inter sarebbe il nuovo proprietario del quotidiano fondato da Antonio Gramsci. L’accordo, raggiunto con la benedizione di Walter Veltroni, secondo Panorama è già stato siglato, ma «l’annuncio arriverà tra settembre e ottobre. In ballo c’è l’organo del Partito democratico, il nodo è interno ai Ds», dice a Panorama uno dei proprietari del quotidiano.

Essere alle dipendenze dei Moratti è garanzia di una vecchiaia serena: in un mondo pieno di furbetti e pataccari indebitati, loro sono tra i pochi ad avere i soldi, quelli veri. Così, se qualcuno si aspettava che in via Benaglia, sede del quotidiano diretto da Antonio Padellaro, si alzassero le barricate per fermare l’arrivo di quello che non molto tempo fa sarebbe stato trattato come un nemico di classe, è rimasto deluso. Marx è morto, Gramsci è morto e anche l’Unità non si sente molto bene. Quello che conta, ora, è arrivare senza patemi alla pensione. Appena si è diffusa la voce dell’acquisto da parte di Moratti, il comitato di redazione, come previsto dal rituale, ha posto le sue inderogabili condizioni al futuro proprietario: «Garantire autonomia e indipendenza» all’Unità e assicurare «che il quotidiano si rafforzi come “primo giornale”», mantenendo l’organico attuale ed evitando tagli di personale. Meno di così era proprio impossibile chiedere. Glielo hanno anche messo nero su bianco, a Moratti: «Ben venga qualsiasi editore che voglia veramente fare questa professione».

Peccato che dopo poco sia arrivata la smentita di Mariolina Marcucci, uno degli attuali proprietari: «È una notizia priva di fondamento». A seguire, quella dello stesso Massimo Moratti: «Smentisco tutto». Restano i fatti. Primo: a maggio la diffusione dell’Unità è scesa ulteriormente, toccando una media di 55.000 copie, con un crollo del 13% rispetto al maggio del 2006. Servono soldi freschi e un progetto di rilancio del quotidiano. Secondo: la proprietà non intende più mettere soldi nell’iniziativa, e aspetta solo di vendere. Terzo: la redazione ha già spalancato la porta a Moratti o a chiunque dovesse avere un identikit (e un conto in banca) paragonabile al suo. Quarto: Moratti ha negato di aver concluso l’operazione, ma questo lo avrebbe fatto anche se, come sostiene Panorama, avesse già concluso un acquisto destinato a essere ufficializzato tra qualche settimana per ragioni politiche. Quinto: Massimo, a braccetto della moglie Milly, accampato a sinistra si trova davvero a suo agio. È il candidato naturale all’acquisto dell’Unità, destinata a diventare l’organo del futuro Partito democratico e a suonare la grancassa per Veltroni (a proposito: tra i vip che hanno firmato per la candidatura del sindaco di Roma alle primarie del Pd c’è pure Milly).

Anche perché non sta scritto da nessuna parte che simpatie politiche e utili d’impresa debbano viaggiare su binari diversi. Prendi l’ultimo dei surrogati di Fidel Castro, il presidente venezuelano Hugo Chavez. È uno che non si fa problemi a sbattere in carcere gli oppositori o a chiudere giornali e televisioni che parlano male di lui. Però è uno di sinistra, e il Venezuela controlla il 6,6% delle riserve mondiali di petrolio, e il business dei Moratti è la raffinazione del greggio. Così non c’è stato da stupirsi se, nell’ottobre del 2005, Chavez è stato ospite d’onore del patron dell’Inter allo stadio San Siro. Moratti assicurò di non averci parlato di affari, ma solo della loro «comune sensibilità verso i temi sociali». La speranza è che Moratti abbia mentito, perché la sua sensibilità sembra avere davvero poco in comune con quella del dittatorello venezuelano. Per fortuna.

Anche l’amicizia con Gino Strada (l’immancabile Milly è presidente della Fondazione Emergency), l’aria che si respira in famiglia (Milly è capogruppo dei Verdi al Comune e il figlio secondogenito, Giovanni, ha confessato a Libero le sue scarse simpatie per Berlusconi), i suoi scambi di amorosi sensi con il subcomandante Marcos, la passione per la causa del Chiapas, la sua ventilata candidatura a Palazzo Marino con l’Ulivo: tutto molto sincero, ma tutto finisce per alimentare l’immagine del petroliere di sinistra, al quale quindi tutto si perdona. Anzi, al quale nulla c’è da perdonare. Nemmeno il fatto di ricavare tutti i suoi soldi da uno dei business più inquinanti.

Tanti petrolieri americani sono in prima fila nelle donazioni alle fondazioni ambientaliste: hanno la coda di paglia e cercano di farsi una patente di rispettabilità ambientale. Massimo non deve sforzarsi per apparire ecocompatibile: gli basta essere quello che è. Gli altri imprenditori litigano con lo Stato, che li spreme di tasse. Lui con lo Stato ci fa i soldi. Vende (a tutti noi) l’energia elettrica prodotta con gli scarti delle sue raffinerie. E lo fa a prezzo ultraconveniente (per lui), perché c’è una legge, detta Cip6, che impone allo Stato di acquistare l’energia prodotta dalle fonti rinnovabili «o assimilate». Pazienza se, nonostante l’assimilazione di diritto, di fatto l’energia prodotta bruciando gli scarti delle raffinerie sia tutt’altro che pulita. A questo provvedimento “ambientalista” la holding di famiglia, la Saras, di cui Massimo è amministratore delegato, deve il 40% degli utili realizzati, pari a 240 milioni di euro l’anno. Visto che profitti e ideologia possono andare d’accordo?

© Libero. Pubblicato il 10 agosto 2007.

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