La favola dei lavori usuranti

di Fausto Carioti

Marchette di classe. Nel senso di classe sociale, categoria marxiana ormai scomparsa in tutto il mondo civilizzato, ma che in Italia sopravvive grazie alla mentalità paleoindustriale del governo Prodi. Alla fine la contrattazione con i sindacati sulla riforma delle pensioni si è ridotta a una riga sulla lavagna. Da un lato i “buoni”, i lavoratori pubblici delle categorie vicine alla maggioranza, con in tasca la tessera del sindacato confederale. Spiccano le maestre d’asilo, che con sprezzo del ridicolo il governo Prodi chiama a raccolta per rimpiazzare i minatori del Sulcis, ormai estinti, nella lista della manodopera alle prese con i lavori più pesanti. Qui c’è lo zoccolo duro del blocco sociale degli elettori di sinistra. Per tutti costoro le regole cambieranno, ma in meglio: potranno andare in pensione prima. Nell’altro lato quelli che la riforma previdenziale la pagheranno. Partite Iva, professori universitari, piloti d’aereo (questi ultimi sindacalizzati, ma quasi tutti a destra, quindi “cattivi”): a loro una torchiatina si può dare senza problemi.

L’escamotage già esiste. È l’elenco dei lavori “usuranti”. Un tempo non lontano era roba seria. I mestieri usuranti, per definizione, erano quelli che riducevano l’aspettativa di vita, o condannavano chi li svolgeva a una vecchiaia da invalidi. Operai addetti ai lavori pesanti nelle cave o nelle miniere, alla prese con materiali tossici come l’amianto o con ambienti di lavoro tremendi come gli altiforni o le profondità marine. Sacrosanto, per tutti costoro, prevedere regole di pensionamento più morbide. Ma simili lavori, per fortuna, da queste parti non li fa quasi più nessuno. Merito dell’avanzamento tecnologico (gli operai delle fabbriche si limitano a controllare che i macchinari robotizzati eseguano correttamente il loro compito) e del trasferimento dei lavori più pesanti nei Paesi di nuova industrializzazione. Lo riconosce lo stesso leader della Uil, Luigi Angeletti: «La fatica fisica ormai è limitata, se si esclude l’edilizia», spiegava ieri al Corriere.

Così, al sindacato confederale, con il benestare di ministri come il rifondarolo Paolo Ferrero, hanno pensato bene di abbassare l’assicella di qualche chilometro: facciamo che i lavori usuranti non sono più quelli che ti accorciano la vita, ma, assai più banalmente, quelli che ti stressano con turni e orari. E siccome non c’è niente di più facile che ritenersi stressati dal lavoro (ognuno è convinto che il mestiere più usurante sia il proprio), il gioco è fatto: presto, al posto dei 320 mila attuali, avremo milioni di lavoratori “usurati”. L’“alienazione” da lavoro teorizzata da Karl Marx, sepolto e deriso il comunismo che su di essa si fondava, diventa legge nella stramba italietta di Prodi.

I vigili del fuoco? Stressati, in pensione anticipata. E così pure baristi, giornalisti, portieri di notte, operatori di call center, infermieri, insegnanti, maestre d’asilo, doganieri. Sull’altro fronte, quello dei lavoratori non stressati (cioè dei fannulloni), spiega Angeletti, le pietre dello scandalo sono i piloti di aereo, che guarda caso con Cgil, Cisl e Uil non hanno mai legato troppo, preferendo affidarsi ai sindacati autonomi, e i professori universitari. Le ali sinistre del governo e della maggioranza applaudono.

Senza nulla togliere a nessuno, occorre un forte pregiudizio per credere che la sindacalizzatissima categoria dei vigili del fuoco (dove il tempo libero abbonda e dove Cgil, Cisl e Uil hanno fatto il pieno di tessere) oppure l’esercito delle maestre d’asilo svolgano un lavoro più stressante di quello dei piloti d’aereo o degli insegnanti universitari. Ed è difficile non credere che nei confronti di questi ultimi pesi il solito polveroso pregiudizio sindacale verso il lavoro intellettuale. Uno di loro, Giovanni Orsina, docente di storia contemporanea a Roma, spiega: «Primo, se uno la didattica in aula la vuole fare bene, le lezioni le deve preparare in modo scrupoloso. Secondo, quasi tutti i docenti universitari hanno almeno un incarico burocratico nei dipartimenti o nei corsi di laurea. Terzo, la ricerca ci porta via moltissimo tempo. Spesso siamo costretti a studiare la notte o il fine settimana, negli unici momenti liberi che abbiamo». Stress? «Beh, diciamo che la gastrite è piuttosto diffusa nella categoria». Per inciso, un ricercatore universitario appena nominato guadagna 1.100 euro al mese, (tanto quanto un pompiere), con la differenza che nelle università italiane il primo stipendio arriva attorno ai 35 anni: sino ad allora si tira a campare con le borse di studio. Per non parlare del negoziante che di primo mattino compra la merce all’ingrosso ai mercati generali e poi alza la saracinesca per chiuderla alle 8 di sera: nessuno a sinistra e nel sindacato è disposto ad ammettere che il suo è un mestiere assai più stressante di mille impieghi pubblici.

Insomma, più va avanti, più la partita sui lavori usuranti appare come il trionfo di quella sinistra «nichilista» dipinta pochi giorni fa sul Foglio dal senatore ulivista Antonio Polito: «La sua preoccupazione principale sembra essere quella di mandare al più presto la gente in pensione, e al più tardi al lavoro... Chiedono il reddito di cittadinanza, garanzia di un salario per chi non lavora». Che poi è proprio quello che diceva Silvio Berlusconi quando, sventolando smargiasso la bandiera dell’etica del fare («l’è un lavurà de la Madona»), li definiva «buoni a nulla e capaci di tutto». Anche in questo caso i suoi avversari si stanno impegnando a fondo per dargli ragione.

© Libero. Pubblicato il 18 luglio 2007.

Addendum. Dal Corriere della Sera: Treu: idee da anni Settanta. Chi non lavora non mangia

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