Quello contro i Ds non è un complotto. E' peggio

Tra pochi giorni - forse tra poche ore - ci divertiremo tutti con i testi delle intercettazioni sul caso Unipol che riguardano i vertici dei Ds. Avete presente Piero Fassino che diceva a Gianni Consorte: «Ci siamo comprati una banca»? Roba del genere. Insomma, sarà divertente. E sarà gustoso vedersi anche l'ennesima dose di coltellate alle spalle che voleranno tra esponenti della Margherita e diessini, con i primi che si fregano le mani dinanzi all'ennesimo sputtanamento del Botteghino. Del resto, fu proprio Francesco Rutelli, due anni fa, a definire «avventurosa» e figlia di «legami trasversali e poco chiari» la scalata Unipol alla Bnl appoggiata dai Ds, scatenando l'ira di Fassino e compagni. Da allora, non è cambiato niente, se non che diessini e margheritini, da alleati che erano, si sono fusi in un unico partito. Pur continuando a destarsi.

La vera incognita politica, però, non riguarda cosa c'è nei nastri le cui sbobinature saranno presto di dominio pubblico. Occorrono infatti non tre, ma almeno quattro narici per credere sul serio al dogma della superiorità morale della sinistra. La domanda vera, quella che ha gettato nel panico metà della sinistra, è: per quale motivo, come se fosse scattato un ordine, all'improvviso Repubblica e Stampa, aggregandosi al Corriere della Sera, hanno iniziato a sparare addosso ai Ds e ai prodiani? Notare: si tratta di tre quotidiani che, nella campagna elettorale del 2006, si schierarono apertamente per l'Unione.

I politici, dietrologi per definizione, tendono sempre a interpretare certe cose come frutto di qualche complotto a tavolino. Complotto che in realtà non c'è quasi mai, e di certo non c'è questa volta. Però c'è di peggio, per chi si trova nel mirino. Ci sono i segnali che si colgono un po' ovunque: nelle votazioni al Senato, negli imbarazzi di Prodi, nella libertà con cui ormai tutti i suoi alleati gli camminano sulle scarpe e lo contraddicono, nei dossier che ricominciano a filtrare dalle procure, nel referendum elettorale del riesumato Mariotto Segni (che induce certi, come Clemente Mastella, a preferire la fine traumatica della legislatura alla fine traumatica del proprio partito), negli esiti delle elezioni amministrative. Segni che portano ormai tutti gli osservatori (anche gli stessi esponenti di sinistra, a microfoni spenti) a ritenere prossima la fine del governo.

Insomma, la battaglia che si è aperta sui giornali in questi giorni non riguarda Prodi, dato già (forse sbagliando) per trapassato. Ma il dopo Prodi. Scontato che non si vada subito al voto, resta da capire: chi guiderà il prossimo governo? Sarà un esecutivo a matrice tecnica o a matrice politica? Quali saranno gli equilibri su cui esso si reggerà? Quali saranno le grandi operazioni che dovrà affrontare?

Come noto, i giornali hanno degli editori, che di solito sono grandi gruppi imprenditoriali e finanziari. Non dettano direttamente la linea ai giornali, ma i giornali - specie nei momenti topici come questo - stanno bene attenti a fare qualcosa di sgradito al proprio editore. E i grandi gruppi non hanno mai nascosto - adesso meno che mai - le loro preferenze per governi a bassa caratura politica e ad alta connotazione tecnica o istituzionale, che lasciano loro margini di libertà assai più ampi. La lettura più corretta della partita che si è aperta è proprio questa. Con i Ds ammaccati e umiliati dalle accuse giudiziarie e dagli attacchi dei principali quotidiani, la gestione del dopo-Prodi potrà più facilmente imboccare una soluzione politicamente debole (la battaglia contro la politica lanciata dai grandi giornali, piaccia o meno, è il tratto caratterizzante di questo periodo, e il presidente di Confindustria non ha perso un momento per cavalcarla).

Non occorre un complotto studiato a tavolino: ognuno sa come comportarsi. C'è la convinzione che una fase si stia chiudendo e l'obiettivo di tutti, adesso, è trovarsi nella migliore posizione possibile appena la fase nuova inizierà. Quando il corso degli eventi imbocca una direzione ritenuta ineluttabile, la cosa più intelligente da fare, per dirla con Marx, è impegnarsi, ognuno a proprio modo, per «alleviare le doglie del parto della Storia».

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