La "svolta" c'è stata, ma non è quella che pensa Prodi

di Fausto Carioti

Romano Prodi ha ragione quando dice che il voto di martedì al Senato sulla missione militare in Afghanistan «rappresenta una svolta politica». Dimostra di non avere capito nulla di questa svolta, però, quando aggiunge che, grazie ad essa, «la maggioranza si rafforza sempre di più». È vero esattamente il contrario. La svolta politica cui si è assistito l’altra sera a palazzo Madama è la rinascita ufficiosa del grande centro. Prodi può brindare per una sera - il fatto di essere ancora al governo dopo il voto sull’Afghanistan giustifica il prezzo della bottiglia - ma la sua coalizione adesso è più debole, perché alla sua destra si è consolidato un nuovo soggetto politico, dai contorni sempre più chiari, i cui progetti sono opposti non solo a quelli di Berlusconi, ma anche a quelli dello stesso Prodi. Pier Ferdinando Casini, Clemente Mastella e Marco Follini nelle occasioni importanti agiscono sempre più spesso come un unico partito, sotto lo sguardo interessato di Francesco Rutelli e dell’ala cattolica della Margherita. Sguardo che potrebbe trasformarsi in abbraccio se il partito democratico, destinato sulla carta a unire Ds e Margherita, non dovesse nascere, o se nascesse appoggiato su basi troppo vicine al partito socialista europeo.

Il collante che oggi lega la pattuglia neocentrista non solo è più forte di quel poco di convenienza reciproca che ancora unisce l’Udc agli altri partiti del centrodestra, ma è anche più saldo del legame che tiene attaccati i centristi dell’Unione a Prodi e al suo sconquassato governo. Non a caso, Prodi e Berlusconi sono considerati da tutti costoro allo stesso modo: due leader da rottamare. Stavolta hanno messo in minoranza il leader dell’opposizione, ma da domani sono pronti a fare lo stesso con il presidente del consiglio. Ad esempio se dovesse avere il coraggio di tirare fuori dal cassetto il provvedimento sui Dico, il riconoscimento giuridico delle coppie etero ed omosessuali. Provare per credere.

Così, se davvero martedì sera sperava di avere allargato la sua maggioranza, Prodi ha sbagliato di brutto. Simili illusioni dovrebbe avergliele tolte già ieri lo stesso Casini, quando una delegazione dell’Udc è andata al Quirinale per chiedere a Giorgio Napolitano di mandare a casa il professore bolognese e dare vita a un «governo di salute pubblica». Non proprio il regalo che ti aspetteresti dall’ultimo arrivato nel giro dei tuoi amici. Certo, la richiesta dell’Udc è strumentale. Serve innanzitutto a evitare la fuga degli elettori cattolici di centrodestra, ostili a Prodi, verso Forza Italia e An. Molti di loro, adesso si staranno pentendo di aver votato un partito i cui esponenti, per due volte di fila (la prima poche settimane fa , grazie al salto della quaglia di Follini), hanno salvato il governo più a sinistra che l’Italia ricordi. Ma è anche vero che Casini non ha alcun interesse a portare acqua gratis al mulino di palazzo Chigi, perché sarebbe per lui un suicidio elettorale.

Il segretario dell’Udc, invece, ha interesse a prendere tempo. Innanzitutto per logorare Berlusconi il più a lungo possibile. Casini - a torto o a ragione - è convinto che, se questa legislatura finirà intorno alla sua scadenza naturale, Berlusconi non potrà fare il candidato leader alle prossime elezioni. E poi il tempo gli serve per tessere la tela che lo lega, sempre più salda, agli altri centristi, con i quali si unirebbe in matrimonio una volta cambiata la legge elettorale, magari reintroducendo quel sistema proporzionale che garantirebbe a un partitone di centro di governare ininterrottamente da una legislatura all’altra, semplicemente cambiando partner di danza: oggi la sinistra, domani la destra.

Quando, un mese fa, illustrò il nuovo programma del suo governo, rappresentato sostanzialmente da un unico punto, la riforma della legge elettorale, Prodi disse che intendeva lavorare a una norma «che garantisca ai cittadini di poter scegliere non solo un partito, ma anche un programma, una coalizione, una proposta di governo, un primo ministro». Insomma, Prodi difende con le unghie quel bipolarismo che lo ha generato e che ha permesso a lui, candidato senza partito, di diventare due volte premier. È la stessa cosa che sta a cuore a Berlusconi, per motivi simili. Ma il progetto dei neocentristi è opposto. Lo ha riassunto benissimo il più schietto di loro, Mastella, quando, pochi giorni fa, gli è stato chiesto se non stesse lavorando al ritorno del grande centro «che di volta in volta sceglie di governare con la destra o la sinistra». E lui ha risposto: «Che male ci sarebbe?».

Stesso principio che muove i ragionamenti di Casini, il quale sogna un partito di centro capace di attrarre il 10-15 per cento degli elettori. Un progetto che andrebbe in porto il giorno in cui fosse introdotto un sistema elettorale proporzionale con clausola di sbarramento, sul modello tedesco, come desiderano il leader dell’Udc e la gran parte dei centristi. Per Prodi sarebbe la fine, e per questo, con un colpo di mano, ha avocato al suo governo il compito di disegnare la riforma elettorale, dopo che Massimo D’Alema aveva aperto alle richieste degli ex dc.

Fatto sta che prima, ogni volta che potevano, i centristi di destra e sinistra marciavano divisi per colpire assieme. Adesso, approfittando della debolezza estrema di Prodi e dell’esilio cui è relegato Berlusconi, si prendono il lusso di marciare ostentatamente compatti. Hanno iniziato a flirtare già in avvio di legislatura, con l’elezione di Napolitano alla presidenza della Repubblica. Allora, l’Udc non votò il candidato scelto da Berlusconi, Gianni Letta, e fece pressing (invano) per far convergere tutti i voti della Cdl su Napolitano. Poi, nel momento del bisogno, quando Prodi sembrava sul punto di cadere, Follini ha lasciato l’Udc per puntellare il governo, pronosticando che presto Casini lo avrebbe seguito. Casini non lo ha fatto, ma ha votato assieme a Prodi e in disaccordo con Berlusconi il rifinanziamento della missione in Afghanistan, senza ottenere in cambio la garanzia di migliori armamenti per i soldati italiani. Intanto, nei giorni scorsi, tornando sull’aereo di Stato di Mastella dal vertice del partito popolare europeo che si è tenuto a Berlino, i due ex leader del Ccd hanno discusso come ritrovarsi nella stessa lista con gli altri dc alle elezioni europee del 2009, che saranno il vero spartiacque di questa legislatura (ammesso che duri tanto). Per allora, l’Italia di Mezzo, il sedicente partito di Follini, sarà stato fagocitato da Mastella, con cui si presenterà alleato alle prossime Amministrative. La porta, ovviamente, può considerarsi aperta sin d’ora a tutti gli esponenti della Margherita presi dai crampi all’idea di allearsi nel partito democratico con gli ex comunisti.

Molto si capirà già nei prossimi giorni. La città chiave, spiegano i bene informati, è Verona. La deriva di Casini si arresterà, almeno per un po’, se Berlusconi, come appare probabile, accetterà di candidare a sindaco per la Cdl Alfredo Meocci, indicato dall’Udc, scontentando la Lega, che punta sull’assessore regionale Flavio Tosi. Ma se Berlusconi, dopo lo schiaffo ricevuto al Senato, dovesse dichiarare guerra all’Udc e puntare sull’uomo del Carroccio, Casini potrebbe decidere di fare un nuovo, definitivo salto in avanti. Cioè al centro.

© Libero. Pubblicato il 29 marzo 2007.

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