Dal celodurismo al tafazzismo

Dev'essere una di quelle alchimie così complesse, uno di quei disegni così sottili che noi poveri osservatori della politica non possiamo nemmeno arrivare a comprendere. Perché c'è di sicuro una ragione strategica profonda dietro la decisione di Umberto Bossi di votare la fiducia al governo, nel caso Romano Prodi decidesse di porla sul rifinanziamento della missione italiana in Afghanistan. Se non ci fosse, questo piano raffinatissimo che solo pochi possono capire e di cui solo pochissimi sono al corrente, vorrebbe dire che la sopraffina intelligenza di Bossi è ormai un ricordo: ipotesi che preferiremmo non prendere in considerazione

Guardiamo i fatti. Il governo Prodi sta nella situazione che tutti conosciamo: potrebbe cadere da un momento all'altro, ma non cade perché ancora non ci sono un nome e un disegno politico alternativi, e non ci sono perché tra Ds e Margherita nessuno ha deciso che è giunto il momento di fare un passo avanti. La coalizione che tiene in piedi il governo Prodi rischia ogni settimana di sfasciarsi in politica economica, sulla riforma della legge elettorale e sulle questioni bioetiche, ma è sulla politica estera che al momento se la vede peggio. Ed è così perché di odio antiamericano, antiisraeliano e antioccidentale si è cresciuta e pasciuta la vasta platea composta dagli elettori di Rifondazione, Verdi, Pdci e da almeno un quarto degli elettori diessini, e questi elettori sono pronti a perdonare tutto ai loro rappresentanti, compreso un aumento delle tasse come quello che è appena stato varato dal governo, ma non una politica allineata con quella americana e israeliana. (Ovviamente, stessimo lingua in bocca con i fratelli Castro e i talebani, per loro non ci sarebbero problemi). A tutti costoro, Fausto Bertinotti, Oliviero Diliberto e Alfonso Pecoraro Scanio, azionisti del patto di sindacato che controlla il governo Prodi, debbono dare una qualche risposta.

Ora, è ovvio che tutto finirà a tarallucci e vino, perché i partiti della sinistra estrema stanno cercando solo un paio di collanine di perline con i colori dell'arcobaleno da mostrare agli elettori. Però è altrettanto ovvio che una simile votazione è destinata a lasciare il segno, e forse un paio di defezioni alla fine ci saranno, anche se compensate dai vari Sergio De Gregorio e Marco Follini. Ed è giusto, essendo questa la situazione, che Prodi esca dalla votazione di fiducia (se tale votazione ci sarà, ma non credo) peggio di come ci sarà arrivato.

Ecco, in tutto questo l'uscita di Bossi piomba come un bicchiere di Tavernello su un piatto di ostriche. Assisteremmo al paradosso per cui, proprio in materia di politica estera e dei nostri rapporti con gli alleati americani, su cui il governo è più debole, in realtà Prodi sarebbe più forte, potendo contare sulla fiducia espressa da una maggioranza addirittura più vasta di quella su cui può contare abitualmente. Il presidente del Consiglio avrebbe buoni motivi per vantarsene e uscire da palazzo Madama a testa alta.

Nessun dubbio che la Cdl debba votare a favore della missione, ma solo se questa non comporterà la fiducia al governo, che è un atto politico ben diverso da una normale votazione. C'è arrivato persino Pier Ferdinando Casini, il quale ha detto che è pronto a votare la missione, ma solo se Prodi non metterà la questione di fiducia. Alla fine, con ogni probabilità ci penserà proprio il presidente del Consiglio a cavare tutti (se stesso per primo) d'impaccio, evitando il ricorso alla fiducia e raccattando così quanti più voti possibile. Ma i dubbi su cosa stia passando per la testa di Bossi restano.

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