L'Internazionale Liberale si chiede se l'islam può diventare liberale

Nei giorni scorsi l'Internazionale Liberale si è riunita per il suo 54° congresso a Marrakesh, in Marocco. La questione principale su cui si è dibattuto: è possibile conciliare liberalismo e islam? Detta altrimenti: cosa deve fare un buon islamico per essere anche un buon liberale? Al confronto hanno partecipato trenta partiti liberali del mondo islamico. Tra gli altri, erano presenti delegati dall'Egitto, dall'Iraq liberato dagli americani, dalla Turchia, dall'Indonesia e dall'autorità palestinese.

In attesa di leggere i documenti ufficiali del congresso, se e quando essi appariranno sul sito dell'organizzazione, vale la pena di leggere il resoconto e le opinioni di Carlos Alberto Montaner, cubano in esilio, che dell'Internazionale Liberale è uno dei vicepresidenti.

L'irlandese John Alderdice, presidente dell'Internazionale Liberale, parte da una constatazione sensata: solo i musulmani liberali, tolleranti e democratici possono fermare i fondamentalisti islamici. La battaglia vera contro il terrorismo si combatte all'interno del mondo islamico.

Il problema, appunto, come nota Montaner, nasce quando si deve tracciare l'identikit del vero islamico liberale. Egli deve infatti:
1) Battersi per l'uguaglianza delle donne rispetto agli uomini e per impedire l'uso del Corano come fonte di diritto, soprattutto dal punto di vista della giustizia penale;

2) Combattere le fatwa degli imam che condannano a morte gli scrittori non ortodossi rispetto all'islam;

3) Denunciare la natura guerrafondaia di una religione che (almeno nella sua versione fondamentalista) venera il jihad, la guerra santa, e divide il mondo in due parti: la metà che è stata già sottomessa all'islam e la metà che ancora deve esserlo;

4) Difendere il diritto di Israele a esistere come una nazione indipendente e in pace con uno stato palestinese altrettanto libero e pacifico.
Ma è data una simile figura di islamico in natura? E se sì, questi islamici sono in numero sufficiente a svolgere il loro lavoro di "liberalizzatori" dell'intera società in cui vivono prima che l'Ahmadinejad di turno, tra gli applausi della folla e la benedizione di tanti ulema, imam, mullah e muftì, lanci l'attacco definitivo su Israele?

Post Scriptum. Sul Weekly Standard merita di essere letto Sex in the Park, illuminante articolo sui predicatori islamici in Danimarca. L'ultima notizia è l'addio al paese dell'imam Raed Hlayhel, il primo a incitare i musulmani alla rivolta dopo la pubblicazione delle vignette sul Jyllands-Posten. Dopo aver perso la causa contro il quotidiano, di sua volontà Hlayhel ha deciso di tornarsene a Tripoli (figuriamoci se il governo danese ha gli attributi per espellere chicchessia). Ma prima di andarsene, nella sua ultima predica, «ha accusato il Papa e ha messo in guardia contro una nuova pubblicazione delle vignette, minacciando rappresaglie: "Noi siamo persone che amano la morte e siamo pronti a sacrificarci dinanzi ai piedi di Allah. Non ripetete una simile tragedia, altrimenti la tragedia colpirà voi e il mondo intero"». Il suo ritorno in Libia non sembra una gran perdita per la Danimarca.

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