Calciopoli, elogio di chi se ne va

In una società in cui abbandonare la propria famiglia di punto in bianco è considerato una rispettabilissima scelta di vita, fa ridere che gli ultimi a vedersi affibbiato l'epiteto di "traditore" siano i professionisti che di mestiere fanno i calciatori. Niente di nuovo, per carità: però lo scandalo ribattezzato Calciopoli ha, come logico, incentivato la transumanza dei pedatori e, di conseguenza, le proteste dei tifosi.
Eppure i campioni che scappano dalle rispettive squadre che affondano, Juventus in testa (e chi scrive è juventino), hanno mille buone ragioni. Il loro è uno dei lavori più strani del mondo: strapagati sino ai 30 anni, al massimo sino ai 34. Prima dei 40, quando molti italiani devono ancora decidere quale sarà la loro prima vera professione, gli ex omini delle figurine Panini hanno già fatto quanto di più importante potevano fare nella vita. Davanti a loro, mezzo secolo da inventarsi, spesso senza avere le spalle abbastanza larghe per costruirsi una vita "normale". Qualcuno fa l'allenatore (ma per ovvie ragioni matematiche non può esserci un allenatore per ogni ex calciatore), qualcuno il team manager o l'allenatore della squadra primavera, i più bravi e fortunati (uno su diecimila) diventano ct di qualche nazionale. Gli altri vivacchiano. C'è chi si fa abbindolare da sedicenti consulenti finanziari. Molti vanno in depressione (senza scomodare Gianluca Pessotto, qui a Roma si ricorda molto bene la triste fine di Agostino Di Bartolomei, capitano di una Roma scudettata). Alcuni finiscono nei giornali su articoli che vorresti non avere mai letto (è successo di recente a Franco Baresi, altro capitano di una squadra stellare).
Insomma, se c'è una regola di banale buon senso nell'ambiente è quella di chiedere il massimo possibile, in termini di ingaggi, fin quando sei in condizione di ottenerlo. Chi sale sul treno migliore fa qual che farebbe la grandissima parte di noi (tifosi e non) se si trovasse nella loro situazione: vanno dove hanno la maggiore convenienza economica, nella consapevolezza che basta poco, basta un'entrata assassina da parte del terzino avversario, a chiudere per sempre carriera e guadagni facili. Vale per tutti, ma vale soprattutto per chi, tipo Fabio Cannavaro e Lilian Thuram (per restare in casa bianconera), ha passato la trentina da un pezzo.
C'è un che di infantile nel tifoso che si lamenta perché l'amato giocatore passa alla squadra avversaria: è il voler fingere a tutti i costi che avesse scelto quella maglia, che ora si ritiene tradita, per ragioni affettive, e non per comprensibilissime ragioni economiche. E' il voler credere davvero alle banalità della prima dichiarazione, quella in cui il neoingaggiato dice invariabilmente che è sempre stato il sogno della sua vita indossare quella casacca. Per poi ripetere la stessa frase, identica, alla casacca successiva.
Certo, ci sono le bandiere. Quelli che restano nonostante tutto. Tutti le amiamo. Ma anche loro, suvvia, si fanno i loro conti in tasca. Alessandro Del Piero resterebbe in bianconero anche in serie C. Bene. Ma sappiamo tutti che se fa il bravo è destinato a ricoprire incarichi ai vertici della società nei prossimi lustri: mollare adesso proprio non gli converrebbe. Stesso discorso per i Paolo Maldini e i Francesco Totti: continueranno a essere pagati dai loro attuali club, sotto altro incarico, anche quando smetteranno di giocare. Toccherà a loro, tra tanti, perché sono stati fedeli alla maglia. Onore al merito. Ma sarebbe ingenuo non pensare che gran parte di loro non hanno mai "tradito" anche perché sapevano di avere davanti una simile opportunità.

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