Per sopravvivere Prodi è costretto a giocarsi tutto

Alla fine Romano Prodi ha preso l'unica decisione logica, nonché la più rischiosa: giocarsi il tutto per tutto ogni volta al Senato. Il voto di fiducia annunciato per il provvedimento di riordino dei ministeri (che di fatto abroga la riduzione dei dicasteri introdotta dall'Ulivo con la riforma Bassanini, complimenti per la coerenza) è il primo di una lunga serie di votazioni di fiducia che verranno. Una mossa obbligata, perché è l'unica in grado di costringere tutti i senatori interessati alla sopravvivenza del governo dell'Unione (inclusi quelli a vita e gli eletti all'estero) ad essere presenti in aula, condizione indispensabile per riuscire a far passare ogni provvedimento. Una mossa rischiosissima, perché basta perdere una volta e vanno tutti a casa.
Il recente voltafaccia del senatore dell'Italia dei Valori Sergio De Gregorio e l'atteggiamento in apparenza ondivago, in realtà calcolatissimo, del senatore indipendente eletto all'estero Luigi Pallaro, che qual piuma al vento vota ora con l'Unione e ora con la Cdl, assieme al serrato corteggiamento cui i partiti del centrodestra sottopongono i peones dell'Unione più vulnerabili, alla veneranda età dei senatori a vita e agli impegni intercontinentali degli eletti all'estero, renderanno ogni votazione di fiducia un appuntamento vietato ai deboli di cuore. E se c'è una regola nella politica italiana, è che alla lunga (ma spesso anche alla breve) le spinte entropiche hanno la meglio sulla tendenza all'ordine. Se qualcosa si può sfasciare, in Italia di solito si sfascia.
Nessuno, nemmeno nella Cdl, si fa illusioni che il governo cada già alla prossima votazione di fiducia, che avverrà dopo il referendum: queste votazioni riescono però a logorare la maggioranza, ad accumulare risentimenti nei senatori dell'Unione, a far crescere in loro la tentazione di annusare l'aria che tira dalla parte opposta per vedere di nascosto l'effetto che fa. Che la situazione a palazzo Madama sia disperata per il centrosinistra lo dicono per primi quelli della stessa maggioranza. Il Manifesto ieri ha scritto chiaro e tondo che ci sono due fronti ad altissimo rischio nell'Unione: quello dei cattolici («ove su tutte le scelte che riguardano la bioetica - e magari la religione in generale - si formasse in Parlamento una maggioranza diversa da quella che sostiene il governo, la situazione diventerebbe in breve insostenibile») e quello dei dipietristi (senatori che il leader dell'Italia dei Valori «ha frettolosamente messo insieme, e sulla cui fedeltà allo stesso Di Pietro ogni dubbio è lecito», scrive sensatamente il Manifesto). Enrico Boselli, leader dello Sdi, dice ora che il rischio di cadere per un soffio è concretissimo, mentre Clemente Mastella già ipotizza che il famoso panettone finirà per mangiarlo qualcun altro.
Del panettone sentiremo parlare molto nei prossimi mesi, comunque vada il referendum sulla devolution. Perché è chiaro che la partita si gioca tutta sulla Finanziaria e i suoi emendamenti, destinati ad essere la via crucis della maggioranza. Nella migliore delle ipotesi Prodi e Tommaso Padoa Schioppa a palazzo Madama dovranno ingoiare i diktat dei De Gregorio di turno in materia di stanziamenti clientelari: se ogni voto è decisivo, ogni senatore ha un potere contrattuale (in linguaggio politicamente scorretto: potere di ricatto) enorme. Nell'ipotesi peggiore per l'Unione (e come detto basta che questa si verifichi una volta sola, dato che si tratterà di votazioni di fiducia), game over. Basteranno un raffreddore o un'influenza di troppo, reali o fasulli che siano. E la Finanziaria si vota in autunno.

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