Al Zarkawi è morto e a sinistra c'è chi lo piange

di Fausto Carioti
Nunc est bibendum, adesso si può brindare. La morte di un uomo può essere una bella notizia, se l'uomo in questione era il giordano Abu Musab al Zarqawi, terrorista islamico, tagliatore di teste, organizzatore di attentati e responsabile (fu lui a dare il via libera agli esecutori) della strage di Nassiriya del 12 novembre 2003, in cui morirono diciannove italiani. Nessuno si illude che la sua uccisione, avvenuta mercoledì per mano americana e resa nota solo ieri, basti a trasformare l'Iraq in una Svizzera musulmana. Ma le due bombe da 230 chilogrammi lanciate dagli F-16 statunitensi sul tagliatore di teste sono state un brutto colpo per la premiata macelleria islamica di al Qaeda, di cui al Zarqawi era il rappresentante in Mesopotamia. La sua uccisione vuol dire molte morti e molte sofferenze in meno. Soprattutto, la foto del suo cadavere - subito diffusa dal Pentagono - fa bene al morale di chi pensa che il terrorismo debba essere contrastato con le armi, e non con le chiacchiere e il "dialogo". (C'è sempre qualcuno che preferisce dialogare con i macellai piuttosto che assumersi le proprie responsabilità. Anche negli anniTrenta, in Europa, c'era chi preferiva discutere gli equilibri geopolitici insieme ad Adolf Hitler piuttosto che trovare il coraggio di affrontarlo con le maniere forti. A loro Winston Churchill, nel 1938, disse: «Potevate scegliere tra la guerra e il disonore. Avete scelto il disonore. Avrete la guerra». Con il terrorismo islamico la morale non cambia).
La morte di al Zarqawi fa poi giustizia di tutte le dietrologie che a sinistra, ma in minima parte anche in una certa destra, si erano create attorno alla sua figura. Le abbiamo lette tutti: quelle tesi cospiratorie che hanno facile presa sugli individui già imbevuti di odio antiamericano, teorie secondo le quali al Zarqawi e Osama Bin Laden “fanno comodo” agli stessi americani, i quali si sarebbero guardati bene dallo stanarli proprio per poter continuare a usarli come pretesto per “occupare” Iraq e Afghanistan. Sostengono questi deliri gli stessi che vanno in televisione a dire che gli attentati dell’11 settembre sono stati organizzati dalla Cia, perché non riescono a concepire che venga commesso un qualunque crimine nel mondo che non sia addebitabile a Washington. La verità è che al Zarqawi, il più giovane e pericoloso della cupola di al Qaeda, ora è cadavere, e gli altri vertici dell’organizzazione - quelli ancora in vita - si preoccupano soprattutto di nascondersi.
Così, adesso che il terrorista è stato ucciso dagli americani, gli antioccidentali italiani si trovano spiazzati e divisi. Da una parte (la madre degli imbecilli è sempre incinta) quelli che sostengono che al Zarqawi è stato ucciso perché non più “funzionale” al disegno “imperialista” a stelle e strisce, in base al principio che per ogni balla che viene confutata occorre crearne un’altra assai più grande. Dall’altra, quelli che proclamano «un giorno di lutto» e piangono la morte dell’«importante capo guerrigliero», come fanno i compagni del campo antiimperialista, amici e finanziatori della sedicente resistenza irachena. Al Zarqawi come Che Guevara, ci è mancato solo il fotografo di regime (per Guevara fu Alberto Korda, autore dell’immagine più famosa dell’assassino argentino) che ne tramandasse ai posteri l’icona da stampare sulle magliette dei bamba di domani.
I capi di Stato che hanno a cuore la sconfitta del terrorismo ieri hanno festeggiato. Il presidente americano, George W. Bush, ha rilasciato una dichiarazione lunga e realistica, nella quale l’ottimismo finale è apparso giustificato, non un semplice espediente retorico: «Ci attendono giorni duri in Iraq, che metteranno alla prova la pazienza del popolo americano. Eppure gli sviluppi di queste ultime 24 ore ci danno una nuova fiducia nel risultato finale di questa lotta: la sconfitta della minaccia del terrorismo e un mondo più pacifico per i nostri figli e nipoti». Soddisfazione anche da parte del primo ministro inglese, Tony Blair, che ha ribadito la «totale determinazione» del suo governo a portare avanti la guerra al terrorismo. Commenti non molto diversi sono arrivati da tutti i leader occidentali. Di uno solo, fino a tarda serata, non vi erano tracce: Romano Prodi.
Il presidente del consiglio italiano, più che alla notizia di cui ieri ha discusso tutto il mondo, è apparso interessato a definire “folkloristici” i suoi alleati, a ribadire il suo disprezzo per gli elettori del centrodestra e a dire alla stampa tedesca che Silvio Berlusconi ha «schiavizzato» l’Italia, per poi smentire chi ha pubblicato le sue parole e farsi da questo smentire a sua volta. Insomma, un premier imbarazzato e imbarazzante, avvolto nei problemi della sua coalizione al punto da trascinarseli appresso anche quando parla all’estero, e allo stesso tempo incapace di far sentire la propria voce sullo scenario internazionale nelle occasioni più importanti, persino con una banale dichiarazione. C’è da capirlo: la fine di al Zarqawi, per lui, non poteva arrivare in un momento peggiore. Appena il suo governo ha annunciato il ritiro di tutti i militari italiani dall’Iraq, gli americani hanno mostrato sul tavolo dell’obitorio la prova che il terrorismo si può sconfiggere, a condizione di avere una forte volontà politica di combatterlo. Proprio ciò che manca al governo Prodi. Ha scelto il disonore, e se alla fine non avrà la guerra sarà solo per merito di altri.

© Libero. Pubblicato il 9 giugno 2006.

Post scriptum. Come sempre in questi casi, non ci si può perdere il bravissimo Enzo Reale.

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