Un salto all'indietro

Un discorso lungo, soporifero, infarcito di retorica. Soprattutto retorica pauperista. Un discorso volto al passato e intriso di pessimismo, che già fa rimpiangere l'ottica fiduciosa di Carlo Azeglio Ciampi. Un discorso adatto a un premier che chiede la fiducia sul programma di governo, più che a un presidente della repubblica fresco di giuramento. Un discorso che non unisce, ma conferma tutte le divisioni, perché offre la pacificazione nazionale pretendendo di dettarne le condizioni. Un discorso tutto sbilanciato da una parte. Perché non basta ricordare che la resistenza ha conosciuto «zone d'ombra, eccessi e aberrazioni» (quello, presidente, lo sapevamo già dal dopoguerra, è lei che c'è arrivato solo adesso) per bilanciare un'omelia in cui 1) è stata ripescata la peggiore retorica di strada sulla «precarietà», la «mancanza di garanzie» e le disuguaglianze «accresciute»; 2) è stato invocato il «ripudio della guerra», con evidente riferimento alle missioni italiane all'estero; 3) è stato affermato che i «nuovi diritti civili e sociali», qualunque cosa intenda Giorgio Napolitano con questa espressione, debbono essere estesi agli immigrati; 4) è stata evocata la «splendida figura» di Nilde Jotti; 5) è stato reso omaggio e ringraziamento a ogni organo dello Stato ad esclusione del governo. Solo per ricordare le cose più evidenti.
Stai a vedere che Napolitano non è quel grande uomo delle istituzioni che vogliono venderci a sinistra, ma l'ennesimo ultraottantenne ansioso di rifilarci i suoi sermoni deprimenti, imbevuti di una retorica stantia appresa in decenni passati al seguito di un'ideologia fallimentare. Stai a vedere.

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