La verità è che si odiano

Ma quale Unione. Si vergognano di votarsi l'un l'altro. Si odiano. Tramano sottobanco per fottersi a vicenda. E, a colpi di coltellate fratricide e schede compilate in modo volutamente errato, ci riescono pure, per il tripudio del centrodestra, che una manna simile proprio non se l'aspettava. Alla fine, tra poche ore, riusciranno a eleggere chi vogliono, ma al termine del primo giorno di votazioni per le presidenze di Senato e Camera la certezza è una sola: i parlamentari della sinistra si rifiutano di votare i candidati indicati da Romano Prodi e dai loro stessi partiti a ricoprire la seconda e terza carica dello Stato. Piuttosto preferiscono presentare scheda bianca, annullare il voto o dirottare la loro preferenza su altri candidati della stessa sinistra.
I numeri parlano chiaro: nelle votazioni di ieri il margheritino Franco Marini (al Senato) e il segretario di Rifondazione Comunista Fausto Bertinotti (alla Camera) hanno preso meno voti di quanti avrebbero dovuto ottenerne se tutti coloro che avevano detto che avrebbero votato per loro avessero mantenuto la parola. Del resto, come si spiegava qui, il voto segreto, obbligatorio per l'elezione dei presidenti delle Camere, è previsto apposta per consentire maggioranze diverse da quella "ufficiale".
Al Senato per le prime due votazioni di elezione del presidente dell'aula era richiesta la maggioranza assoluta dei senatori, pari a 162 voti. Sulla carta, se cioè tutti i senatori dell'Unione, i senatori a vita e quelli eletti all'estero avessero votato il margheritino Franco Marini, come avevano assicurato di fare, Marini avrebbe preso 163 voti: uno in più del necessario. Non è andata così.
Palazzo Madama ha votato a pieni ranghi: 322 votanti. I voti della prima tornata sono andati così distribuiti: 157 voti per Franco Marini; 140 per Giulio Andreotti; 15 per Roberto Calderoli; 1 per Giulio Marini (senatore forzista votato dalla Cdl apposta per impedire che le schede con scritto "Marini" e basta, senza specificazione del nome di battesimo, fossero attriuite dal presidente provvisorio del Senato, Oscar Luigi Scalfaro, a Franco Marini); 5 schede bianche; 4 schede nulle.
Nella seconda votazione, che si è dovuta ripetere per quelli che sembravano errori nella votazione di alcune schede ("Francesco" Marini invece di Franco) e che invece nessuno crede che fossero errori, Marini si è fermato a quota 160 votazioni valide, con Giulio Andreotti indietro di cinque lunghezze. Chiaro che il margheritino è stato infiocinato da gente della sua maggioranza. Nella terza votazione, prevista per oggi, è richiesta la maggioranza assoluta dei voti dei presenti: se l'aula è presente al completo, il quorum resta quello di ieri: 162 voti. La quarta votazione, quella definitiva, è invece un ballottaggio secco tra i due che hanno preso più voti nel terzo scrutinio. In caso di parità al ballottaggio, la presidenza va al più anziano (in questo caso vincerebbe quindi l'87enne Andreotti).
Alla Camera, mutatis mutandis, non è andata molto diversamente. Per essere eletto nei primi due turni, quelli di ieri, a Fausto Bertinotti servivano due terzi dei voti dei deputati, ovvero 420 voti. Sulla carta avrebbe dovuto ottenerne 348 (a tanto ammontano i deputati dell'Unione, grazie al premio di maggioranza). Alla prima votazione ne ha avuti 305, 43 in meno del previsto. Altri voti sono andati a Massimo D'Alema (13 preferenze) e Gerardo Bianco (7). Chiaro che, anche in questo caso, a molti deputati dell'Unione è venuto il mal di pancia all'idea di votare Bertinotti, e hanno presentato scheda bianca oppure hanno scelto un altro candidato, anche se senza speranze: tutto pur di non votare il leader rifondarolo. La seconda votazione è andata peggio per Bertinotti. Ha ottenuto tre voti in meno della precedente: 302, contro i 51 di Massimo D'Alema. Terza votazione: disastro. Bertinotti racimola 295 voti, D'Alema - anche grazie ai voti che gli hanno dato strumentalmente i deputati della Cdl - arriva a quota 70.
Oggi il quorum si abbasserà, Bertinotti sarà eletto presidente della Camera e probabilmente anche Marini la spunterà. Ma le ferite che si è inferta la sinistra ieri non si rimargineranno facilmente. E se Romano Prodi prima sognava di ricevere da Carlo Azeglio Ciampi l'incarico-lampo, ora ha ottimi motivi per preoccuparsi.

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