Lo specchio (triste) dell'Italia

Da Prozac. Ribadito che qui si pensa che il confronto televisivo tra i due candidati premier se lo sia aggiudicato (ai punti e con scarto minimo, insufficiente a incidere sugli elettori) Silvio Berlusconi, resta quel forte retrogusto amaro in bocca. L'Italia che è uscita dal faccia a faccia televisivo condotto da Clemente Mimun è deprimente. Due leader politici anziani e sul bollito andante (Prodi per ragioni sicuramente strutturali, Berlusconi per ragioni forse congiunturali), che se avessero avuto di fronte uno tipo Tony Blair o George W. Bush, ma temo persino un José Luis Rodríguez Zapatero, non ci sarebbe stato confronto. Due rappresentanti della casta degli intellettuali, i giornalisti Roberto Napoletano e Marcello Sorgi (soprattutto il secondo, non a caso il meno apprezzato dagli spettatori, secondo il sondaggio dell'Istituto Piepoli per Sky Tg24), che sono riusciti a confermare tutti gli stereotipi negativi che avvolgono la categoria.
Su Prodi, non c'è proprio nulla da dire. Ha mantenuto fede alle promesse della vigilia, facendo la figura del bollito che non sa parlare e biascica frasi senza senso con un tono che farebbe addormentare Gattuso durante un derby. Uno che dice "Dobbiamo seguire gli immigrati nella vita quotidiana perché le abitazioni non vadano nei ghetti" non deve finire a palazzo Chigi o al Quirinale, ma alla Baggina.
Su Berlusconi, invece, da dire c'è molto. Nella seconda metà della trasmissione è riuscito a non alzare mai lo sguardo dal foglio, a non inquadrare praticamente mai la videocamera (lui!). Non un sorriso, non un indizio di quella spavalderia da simpatica canaglia che, sulla carta, lo avrebbe messo in grado di annichilire uno come Prodi. Ha chiuso il match stanco, più dal punto di vista mentale che da quello fisico. L'uomo della comunicazione non ha saputo comunicare cosa intende fare dell'Italia.
Quanto a Napoletano e Sorgi, sembravano davvero convinti che il mondo inizi e finisca negli editoriali di Francesco Giavazzi. Si sono impegnati a porre ai due candidati domande su temi dei quali frega solo ai loro referenti del salottino buono, ma che sono lontani anni luce dal sangue e dalla carne di cui è fatta la vita. Insomma, c'è un grande dibattito in corso: sulla vita (la vita di tantissimi embrioni e quella dei tanti Luca Coscioni), sull'Occidente, su come dobbiamo porci nei confronti dell'Islam e dei suoi immigrati, se la nostra cultura domani dovrà essere erede di quella dell'Atene di Pericle e del cristianesimo oppure un ibrido multiculturalista e senza radici. Si discute delle nostre libertà e di quelle degli altri: sin dove arriva il nostro diritto a essere blasfemi? E' giusto che per rispettare una visione integralista della religione che qui in Occidente non è più condivisa da secoli rinunciamo a parte della nostra libertà d'espressione?
Perché in questo momento l'Italia e l'Europa si stanno chiedendo cosa sono (ovvero quali sono i loro valori), dove vogliono andare e in compagnia di chi. Sono temi grandi e importanti, che hanno segnato la vittoria di George W. Bush alle elezioni americane e l'avvento di Joseph Ratzinger al soglio di Pietro. Temi che meriterebbero una riflessione pubblica da parte di chi si candida a guidare l'Italia per cinque anni.
Ma Napoletano e Sorgi si sono guardati bene, chessò, dal chiedere ai due "Scusi, per lei l'embrione è qualcosa o qualcuno? E in che modo questa sua visione si rifletterà nell'azione del suo governo?". Oppure se abbia senso aprire le porte dell'Europa a una Turchia che di europeo non ha mai avuto nulla, dove pochi giorni fa è stato ucciso un sacerdote italiano, e quindi che tipo d'Europa dobbiamo immaginarci da qui in avanti. Meglio occuparsi della solita concertazione, del solito conflitto d'interessi, del solito cuneo fiscale. Domande scontate, rese ancora più facilmente eludibili da un regolamento che sembra tagliato su misura per chi non ha nulla da dire. Domande dalle quali il minimo che ti puoi attendere è una risposta imbecille. Come infatti ne hanno ricevute Napoletano e Sorgi. Del resto, se il sondaggio di Piepoli ha dichiarato come miglior giornalista in studio Clemente Mimun, il quale non ha fatto altro che passare la parola dall'uno all'altro, è evidente che anche la categoria degli scribi (di noi scribi) non ne è uscita a testa alta.

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