L'apostata afghano è uno schiaffo per i progressisti

L'importante come sempre è non prendersi in giro e, per dirla laicamente con Joseph Ratzinger, preferire la verità alla tentazione di «sedersi comodi nella storia». La "soluzione" con cui l'apostata afghano Abdul Rahman sarà riconosciuto infermo di mente e quindi graziosamente salvato dalla pena di morte per essere estradato in un Paese più civile (tradotto: non islamico) è una enorme presa in giro. E dà uno schiaffo ai conservatori e uno (più forte) ai progressisti.
Ai conservatori interventisti il ceffone arriva perché l'Afghanistan "liberato" dai mullah grazie all'intervento della coalizione filoamericana sarà pure una democrazia, sarà anche nemico del terrorismo, trafficherà assai meno in papaveri da oppio e senza dubbio è meno incline al fanatismo del regime dei talebani. Tutte cose importantissime, per carità. Però se pensavamo che fosse diventato un posto civile, in cui gli individui hanno più o meno le stesse libertà che per noi occidentali sono scontate, ecco, in questo caso sarà bene ricredersi.
Ma i progressisti hanno poco da vantarsi, e non sono in diritto di dire "noi l'avevamo detto". Perché se ai conservatori l'accusa da muovere è quella di aver sopravvalutato gli effetti a cascata prodotti dall'esportazione della democrazia (che comunque di per sé è già un obiettivo positivo), l'accusa per i progressisti è ben più grave. E' quella di chiudere gli occhi dinanzi alla verità, di negare l'ovvio in nome della sottomissione al dogma del politicamente corretto. Se la differenza tra un posto civile e un posto barbaro non la fa la democrazia, non resta che una risposta possibile: la religione. In questo caso la differenza tra civilità e barbarie la fa l'Islam, con le sue pratiche omicide e liberticide.
Insomma, in Afghanistan siamo davanti a uno dei tanti paradossi della democrazia: se dovesse decidere la maggioranza degli afghani con ogni probabilità l'apostata sarebbe condannato a morte. A conferma che per essere una civiltà non basta andare alle urne una volta ogni cinque anni, ma occorre che le istituzioni rispettino la libertà e le vite dei cittadini. E siccome l'istituzione principale in Afghanistan e in gran parte dei Paesi islamici è la sharia, è evidente che si tratta di un sogno impossibile.
Il caso del convertito afghano, in altre parole, è solo l'ennesima conferma di quello che la sinistra si rifiuta di ammettere: se usiamo come metro il rispetto delle libertà e della vita degli individui (non si vedono in giro unità di misura migliori), l'Islam non è una civiltà. In Occidente sono secoli che nessuno scende in piazza per chiedere la morte di un individuo colpevole solo di aver cambiato religione, che i leader religiosi non invocano il linciaggio da parte della folla, che la giustizia non chiede la pena capitale per apostasia. Questi sono i fatti dai quali si giudica se siamo davanti a una civiltà o a una società primitiva. Il resto è fuffa politicamente corretta. Siamo in attesa che le anime belle della sinistra ne prendano atto.

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