Papa Ratzinger e la tirannia dello status quo

Sandro Magister, che sull'argomento ne sa un po' più di me, scrive quello che i vaticanisti sinora hanno solo mormorato: che gli stretti collaboratori di Joseph Ratzinger sono inadeguati al loro ruolo e che un papa simile è visto come un'anomalia all'interno dello stesso Vaticano, dove Benedetto XVI deve fare i conti con i delusi che avrebbero visto volentieri al suo posto un teologo della liberazione. A dirla tutta, molti osservatori di Oltretevere si spingono a dire che i collaboratori del papa gli remano contro, sterilizzando puntualmente ogni sua iniziativa forte, pure nei confronti della questione arabo-israeliana e dei massacri compiuti dagli islamici sui cristiani. Anche se ciò che scrive Magister è un po' diverso, non appare incompatibile con queste voci. Anzi.
Di sicuro - e non è poco - sinora c'è che i timori della sinistra per l'avvento di un papa arroccato e ultraconservatore si sono rivelati infondati (leggere qui per ridere, specie alla voce "giovani generazioni"), al pari delle speranze di chi si attendeva dal nuovo pontefice gesti più forti di quelli del suo precedessore, all'altezza con il suo curriculum di teologo rigorosissimo. Ammesso che fosse sensato attenderla, sinora - almeno agli occhi del profano - non si è vista alcuna evoluzione o discontinuità significativa con il papato di Karol Wojtyla. Come se la regola che vuole la maschera indossata dagli uomini essere più importante del loro volto debba valere per tutti, anche per un papa di nome Joseph Ratzinger. Da mettere agli atti anche la perplessità del pontefice nei confronti di tanti uomini della sua curia, testimoniata dalle recenti nomine dei cardinali.
Basta l'ipotesi di un papa forte circondato da uomini deboli e magari riluttanti a spiegare questa sensazione di vittoria dello status quo, di una offensiva della Chiesa che sembrava essere nei fatti ma ancora non si è intravista e che forse è già lecito mettere in dubbio, visti i tempi lunghi per compierla e l'età di Ratzinger (classe 1927)? Probabilmente no, non basta, tanto che Magister si spinge a parlare apertamente dei possibili «limiti» di questo papa, di «un gap tra l’altezza della sua visione e le poche decisioni operative fin qui da lui attuate».
Riporto la parte più "drammatica" dell'interessantissimo bilancio stilato da Magister, che ovviamente invito a leggere integralmente, sui primi dieci mesi del pontificato di Ratzinger. Bilancio che comunque si conclude aperto all'ottimismo: le decisioni attese «verranno». Del resto, la pasta dell'uomo è assolutamente fuori discussione.

«È vero, Benedetto XVI raccoglie la fiducia e l’ascolto di grandi folle di fedeli. Il numero di quelli che assistono alle sue liturgie e alle sue predicazioni è più che raddoppiato rispetto a Giovanni Paolo II ed è alta l’attenzione con cui lo ascoltano.
Ma all’interno della curia vaticana egli è molto isolato.
La macchina della comunicazione, attorno al papa, è inefficiente e confusa. I suoi testi sono fiaccamente lanciati, tradotti tardi e male nelle varie lingue. Clamoroso, ad esempio, è stato l’oscuramento che ha nascosto il suo discorso del 22 dicembre alla curia romana: discorso di importanza capitale, dedicato in gran parte all’interpretazione del Concilio Vaticano II.
Il ritardo nella pubblicazione dell’enciclica “Deus Caritas Est” è emblematico di questa disfunzione generale. Benedetto XVI ne è consapevole. La prova è nel fatto che è lui stesso ad annunciare e spiegare i suoi testi maggiori, facendo lui quello che i suoi collaboratori non fanno. La presentazione ufficiale dell’enciclica fatta nella sala stampa della Santa Sede da tre alti dirigenti curiali – il cardinale Martino e gli arcivescovi Levada e Cordes – è stata di una banalità disarmante.
Si sa che in Vaticano e fuori c’è chi si oppone attivamente a questo papa. Un rivelatore di tale opposizione sono le voci diffuse sull’andamento del conclave. Tali voci intendono mostrare che l’elezione di Ratzinger a papa non è stata per niente plebiscitaria, che è stata in forse fino all’ultimo, che è stata indebitamente favorita dal suo essere decano dei cardinali, che è ipotecata dall’Opus Dei, che i tempi sono maturi per un papa nuovo preferibilmente latinoamericano e che, insomma, a questi suoi limiti congeniti Benedetto XVI dovrebbe sottomettersi.
Ma c’è anche una diversa ragione della solitudine di papa Benedetto. Ed è il basso livello di gran parte del ceto dirigente della Chiesa, in curia e fuori: un ceto che per suoi limiti intrinseci non è capace di essere all’altezza dell’impegnativo programma e della grande visione di questo papa.
E infine vi sono dei limiti – forse – legati alla persona stessa di papa Ratzinger. Pare esservi un gap tra l’altezza della sua visione e le poche decisioni operative fin qui da lui attuate.
Ma queste decisioni verranno. In fondo, dalla fumata bianca di quel 19 aprile sono passati appena dieci mesi».

"Che cosa insegna il papa teologo? Prima di tutto la verità", di Sandro Magister

Su A Conservative Mind:
"Ratzinger pessimista sull'evoluzione dell'Islam"
"Ratzinger e l'evoluzione dell'Islam, seconda puntata"

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