E il Cavaliere chiama a raccolta la piazza

di Fausto Carioti
Siamo all’ultima metamorfosi possibile: il Cavaliere di piazza e di governo, che uscito da palazzo Chigi guida la folla per strada contro i comunisti, difende gli operai dai sindacati che vogliono mettere le mani sulle loro liquidazioni e inveisce contro la sinistra che, avendo sopravvalutato il rapporto euro-lira quando era al governo, ha reso la parte più povera d’Italia «ancora più povera», come denunciato ieri. Avrà pure tanti difetti, Silvio Berlusconi, ma di certo non gli mancano inventiva e combattività, doti che anche i suoi avversari sono costretti a riconoscergli. Rubargli le prime pagine dei giornali per tutti questi giorni di fila, raccogliere milioni di voti e milioni di euro da usare contro di lui, andare a fare il gigione da Bruno Vespa, come ha fatto Romano Prodi, sono cose che il presidente del Consiglio tende a interpretare come un affronto personale, prima ancora che come una sfida politica. Urge vendetta, in tempi rapidi. Da lunedì, la pratica Prodi è in cima ai dossier sulla sua scrivania. Dentro al fascicolo, sotto il nome del professore bolognese, c’è la lista degli altri nemici, che nella sua visione rappresentano il blocco di potere sul quale poggia Prodi. C’è la finanza ulivista, per iniziare. «Domenica si è visto che tutto il sistema delle banche è in mano alla sinistra», ha detto il premier. Senza fare nomi, tanto si sa benissimo con chi ce l’ha: Alessandro Profumo, Corrado Passera e Luigi Abete, il gotha del credito, schierati al punto da mettersi in fila per votare alle primarie. Soprattutto, in quella lista nera ci sono i sindacati, che si sono spinti sino a «inquadrare e militarizzare» gli elettori dell’Unione, portandoli in massa domenica alle urne. A la guerre comme à la guerre, dunque.
La novità, rispetto al passato, è che stavolta il premier accetta di combattere sul terreno preferito della sinistra: la folla, la piazza. Prodi si fa il bagno di popolo? Lui risponde convocando una grande manifestazione, e vediamo chi è più bravo, anche davanti alle telecamere. C’è pure la data pronta: 9 novembre, anniversario della caduta del muro di Berlino, già decretato festa nazionale. Impossibile trovare occasione migliore per battere sul tema dell’anticomunismo, che anche stavolta sarà uno degli assi portanti della campagna elettorale del centrodestra. Non ci prova nemmeno, Berlusconi, a nascondere l’intento propagandistico: «Se la presentiamo come governo, invece che come Casa comune dei moderati», ha spiegato, «avremo la possibilità di andare molto di più sulle tv». Un bel modo anche per mettere in imbarazzo i centristi dell’Unione: o partecipano alla festa nazionale, accanto alle bandiere di Forza Italia e An e contro i comunisti che ancora affollano la coalizione prodiana, o si chiamano fuori, come infatti faranno. E allora sarà facile additarli come succubi dei rossi. Prodi raccoglie 40 milioni di euro dalle primarie? Capito il business, Berlusconi butta là l’ipotesi di fare le «primarie del programma», cioè di chiamare gli elettori della Cdl a dire la loro sul programma della coalizione, al quale i partiti che la compongono dovranno poi, in caso di vittoria, attenersi in modo scrupoloso. Anche qui, l’aspetto pratico non è un segreto: «Sarebbe un modo per raccogliere fondi, come ci ha insegnato l’Unione», ammette candido il Cavaliere.
E se contro i banchieri, oltre all’invettiva, altro per il momento non può fare, nei confronti dei sindacati il discorso è molto diverso. Il capitolo Cgil, Cisl e Uil, lui e Giulio Tremonti avevano già deciso di aprirlo. È stato il ministro dell’Economia, nei giorni scorsi, a invocare una “direttiva Bolkestein”, cioè una «agenda di liberalizzazione» per i patronati sindacali e i centri di assistenza fiscale, altra riserva di caccia pressoché esclusiva dei sindacati. Facendo attaccare al defibrillatore i vertici delle sigle confederali, che temono di vedersi sfilare da sotto il naso un piatto che vale 640 milioni di euro l’anno (310 milioni è il giro d’affari dei patronati, 330 quello dei Caf). Soldi, per inciso, che si vanno ad aggiungere ai 260 milioni che ogni anno la pubblica amministrazione spende per garantire i distacchi sindacali dei dipendenti statali e ai 600 milioni che i sindacati sottraggono a dipendenti e pensionati mediante le trattenute automatiche delle quote associative. Ieri, dopo la prova fornita domenica di quanto sia ancora efficace la cinghia di trasmissione che li lega alla sinistra, Berlusconi ha detto basta a nuovi regali: «I sindacati li spendono tutti in opposizione a noi e non li usano per l’interesse di tutti». Difficile dargli torto. Tradotto, vuol dire che il presidente del Consiglio ha bloccato la riforma della previdenza complementare, che dovrebbe partire il 1 gennaio prossimo, sulla quale il ministro del Welfare, Roberto Maroni, si è giocato la faccia, al punto da schierarsi anche ieri - assieme ad Alleanza nazionale - con la Cgil e contro il capo del governo.
Se Berlusconi cercava un modo per fare male ai sindacati, l’ha trovato. Una volta a regime, la riforma del trattamento di fine rapporto porterà ai fondi pensione 10 miliardi di euro l’anno. L’attuale bozza di decreto della riforma, scritta da Maroni, mette i fondi pensione chiusi, controllati dai sindacati, in posizione di netto vantaggio nella spartizione di questa torta rispetto ai fondi aperti, creati da assicurazioni e banche. Berlusconi vuole invece che i fondi chiusi e quelli aperti possano competere in condizioni di assoluta parità. Ma i sindacati non hanno alcuna intenzione di combattere ad armi pari con i privati, e come da prassi hanno risposto chiamando la minaccia ai loro interessi un’aggressione alla democrazia stessa. Il fatto che poi, incidentalmente, l’attacco mosso da Berlusconi ai sindacati sul Tfr si traduca anche in una difesa dei beni di famiglia, visto che tra le assicurazioni private interessate c’è la sua Mediolanum, non è tale da scomporre il premier più di tanto. Ci vuole ben altro.

© Libero. Pubblicato il 19 ottobre 2005 col titolo "Silvio fa il capopolo: tutti in piazza".

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